« Perché non mi hai lasciato morire? » domandò senza pensare a quello che stava dicendo.
« Ho bisogno di te. »
« Ma io sto male. »
« Fra poco il lavoro sarà finito. »
Breer guardò diritto negli occhi Mamoulian; una cosa che aveva avuto molto raramente il coraggio di fare. Ma la disperazione lo stava stimolando.
« Intendi dire Toy? » domandò. « Non lo troveremo mai più. È impossibile. »
« Oh, ce la faremo, Anthony. E su questo sono molto deciso. »
Breer sospirò. « Vorrei tanto essere morto », disse.
« Non dire così. Hai avuto tutta la libertà che volevi, non è così? Non ti senti il peso della colpa, vero? »
« No ... »
« Molta gente sarebbe disposta a soffrire per i tuoi piccoli disagi pur di essere senza colpa, Anthony; soddisfare i desideri della carne e non doversene mai pentire. Riposati oggi. Domani avremo molto da fare, noi due. »
« Perché? »
« Andremo a trovare il signor Whitehead. »
Mamoulian gli aveva raccontato di Whitehead, della casa e dei cani. Le ferite che avevano inferto all'Europeo non erano indifferenti. Sebbene la mano lacerata fosse guarita rapidamente, il danno ai tessuti era irreparabile. Mancavano un dito e mezzo, il palmo e il dorso erano segnati da orribili cicatrici e un pollice non avrebbe più potuto muoversi come prima: la destrezza nel maneggiare le carte era rovinata per sempre. Il giorno in cui era ritornato sanguinante, dopo lo scontro con i cani, Mamoulian aveva raccontato a Breer una lunga e triste storia. Una storia di promesse rotte e di fiducia tradita, di atrocità compiute contro l'amicizia. L'Europeo aveva pianto molto durante il racconto e Breer aveva capito quanto fosse profondo il dolore che lo tormentava. Erano entrambi uomini guardati con disprezzo, contro i quali erano state ordite congiure e sui quali era stato sputato. Ricordando la confessione dell'Europeo, si risvegliò in Breer il senso di ingiustizia che aveva avvertito allora. Ed eccolo, lui che doveva tanto all'Europeo - la vita, l'equilibrio mentale - stava progettando di voltare le spalle al suo Salvatore. Il Mangialamette provava vergogna.
« Ti prego », disse desideroso di farsi perdonare le lamentele di prima. « Fammi andare a uccidere quell'uomo per te. »
« No, Anthony. »
« Ce la farò », insistette Breer. « Non ho paura dei cani. Non avverto il dolore, non più, da quando sei tornato. Posso ucciderlo nel suo letto. »
« Sono sicuro che potresti farcela. E avrò certamente bisogno. di te per tenere lontani i cani. »
« Li farò a pezzi. »
Mamoulian sembrò veramente compiaciuto.
« Lo farai, Anthony. Detesto quel genere di creature. Le ho sempre detestate. Tu ti occuperai di loro mentre io parlerò con Joseph. »
« Perché perdere tempo con lui? È così vecchio. »
« Anch'io lo sono », rispose Mamoulian. « Più vecchio di quanto sembri, credimi. Ma gli affari sono affari. »
« È difficile », disse Breer con gli occhi umidi dì lacrime.
« Che cosa? »
« Essere l'Ultimo. »
« Oh, si. »
« Dover fare tutto in maniera corretta, in modo che la tribù ricordi... » la voce di Breer si ruppe. Quanti onori aveva perso, per non essere nato in una Grande Epoca. Come poteva essere stato quel periodo di sogno, quando i Mangialamette e gli Europei e tutte le altre tribù tenevano il mondo sotto controllo? Un'epoca del genere non si sarebbe più ripetuta, aveva detto Mamoulian.
« Non sarai mai dimenticato », promise l'Europeo.
« Credo che invece accadrà così. »
L'Europeo si alzò. Sembrava ancora più imponente di quanto si ricordasse Breer e anche più scuro.
« Abbi fede, Anthony. Devono succedere ancora molte cose. »
Breer avvertì qualcosa al collo. Come se si fosse posato un insetto e avesse incominciato ad accarezzargli la nuca con le antenne pelose. La testa iniziò a ronzare, come se le mosche che lo tormentavano avessero deposto le uova che si stavano improvvisamente schiudendo. Scosse la testa per eliminare quella sensazione.
« Va tutto bene », sentì dire dall'Europeo attraverso il ronzio delle ali. « Stai calmo. »
« Non mi sento troppo bene », protestò Breer con tono sottomesso, sperando di rendere più clemente Mamoulian. La stanza attorno a lui si stava spaccando, le pareti si allontanavano dal pavimento e dal soffitto, i sei lati di quella scatola grigia si staccavano e lasciavano entrare il nulla. Tutto era scomparso nella nebbia: i mobili, le coperte, persino Mamoulian.
« Devono succedere ancora molte cose », sentiva ripetere, o forse era un'eco che rimbombava fino a lui da qualche dirupo lontano? Breer era terrorizzato. Sebbene non riuscisse più a vedere nemmeno il suo braccio teso, sapeva bene che quel posto avrebbe continuato a esistere e che lui ci si stava perdendo dentro. Le lacrime scorrevano copiose. Gli colava il naso e le budella gli si contorcevano nel ventre.
Proprio nel momento in cui penso di mettersi a urlare per non impazzire, l'Europeo gli apparve, come uscito dal nulla e, nella luce irregolare della coscienza ormai svanita, Breer vide l'uomo trasformarsi. Quella era l'origine di tutte le mosche, di tutte le estati infuocate e degli inverni gelidi, del vuoto, delle paure, e gli galleggiava davanti, nudo più di quanto un uomo abbia diritto di essere, nudo al punto di non essere. Stava tendendo la mano sana verso Breer. Gli offriva dei dadi in osso con incisi due volti che Breer parve riconoscere: l'Ultimo Europeo si stava accovacciando per tirare il dado pieno di volti nel vuoto, mentre da qualche parte, lì vicino, qualcosa con la testa di fuoco si mise a piangere fino a inondarli di lacrime.
35
Whitehead prese il bicchiere di vodka con la bottiglia e scese nella sauna. Dalle settimane di crisi era diventato il suo rifugio preferito. Ormai, sebbene il pericolo fosse tutt'altro che passato, aveva perso d'occhio la situazione dell'Impero. Per ridurre le perdite erano stati svenduti vasti settori della Corporations European e azioni della Far Eastern; erano stati convocati gli amministratori di un paio di piccole società; c'erano ingenti eccedenze destinate ad alcuni impianti chimici in Germania e in Scandinavia: gli ultimi disperati tentativi per evitare la chiusura e la vendita. Ma Joe aveva altri problemi per la testa. Gli imperi potevano essere riconquistati, ma la vita e l'equilibrio mentale no. Aveva mandato via i finanzieri, gli uomini dell'Istituto di Ricerca del Governo; li aveva rispediti nei loro uffici e nelle loro banche ben allineate a Whitehall. Non c'era niente che potessero consigliargli e lui non voleva ascoltare. Non gli interessavano né i grafici, né le cifre del computer, né le previsioni. Delle cinque precedenti, frenetiche settimane, ricordava con interesse solo un interlocutore: Strauss.
Gli piaceva Strauss. Più esattamente, si fidava di Strauss e gli capitava di rado nel bazar umano in cui era solito vivere. L'istinto di Toy nei confronti di Strauss si era rivelato esatto; Bill era sempre stato un uomo con molto fiuto nel giudicare l'onestà delle persone. Ogni tanto, quando la vodka gli conferiva bontà d'animo e rimorsi, sentiva veramente la mancanza di quell'uomo. Ma non si sarebbe mai mostrato triste: non era nel suo stile e non aveva certo intenzione di incominciare in quel momento. Si versò un altro bicchiere e lo alzò.
« Alla Recessione », disse e si mise a bere.
Aveva fatto immettere parecchio vapore nella stanza piastrellata di bianco: seduto sulla panca, nella semioscurità, chiazzato e florido, si sentiva come una pianta carnosa. Gli piaceva la sensazione di sudore che colava nelle pieghe della pancia, sotto le ascelle e nell'inguine: semplici stimoli fisici che lo distraevano dai cattivi pensieri.
Forse, dopotutto, l'Europeo non sarebbe venuto, pensò. Speriamo in Dio.
Da qualche parte, nella casa immersa nell'oscurità, una porta si aprì e si chiuse, ma l'alcol e il vapore lo avevano portato lontano dalla realtà circostante. La sauna era un altro pianeta; per lui, solo per lui. Appoggiò gli occhiali grondanti sulle piastrelle, poi chiuse gli occhi, sperando di riuscire ad assopirsi.
Breer andò al cancello. Si udiva un ronzio e si avvertiva un odore acre di elettricità nell'aria.
« Tu sei forte », disse l'Europeo. « Così mi hai detto. Apri il cancello. »
Breer mise la mano sul filo. Aveva ragione di vantarsi, avvertì soltanto un leggerissimo tremore. Si sentì un odore di carne alla griglia e il rumore dei denti che sbattevano mentre iniziava ad aprire il cancello. Era più forte di quanto avesse mai immaginato. Non aveva la benché minima paura e per questo si sentiva forte come Ercole. I cani avevano iniziato ad abbaiare lungo il recinto, ma lui pensò solo: lasciamoli arrivare. Non sarebbe morto. Forse non sarebbe mai morto.
Ridendo stupidamente, riuscì a spezzare il cancello e lo aprì: il ronzio della corrente cessò, poiché il circuito era ormai saltato. L'atmosfera aveva una leggera sfumatura bluastra.
« Bravo », disse l'Europeo.
Breer cercò di lasciar andare la parte del filo che teneva in mano, Ina ormai gli si era saldato nel palmo. Dovette strapparlo via con l'altra mano. Guardò incredulo la carne ustionata: era diventata nera e aveva un odore appetitoso. Sicuramente avrebbe iniziato presto a fargli male. Nessuno - nemmeno un uomo come lui, senza colpe e incredibilmente forte - avrebbe potuto essere ferito in quel modo senza soffrire. Ma, per ora, non provava assolutamente nulla.
Improvvisamente - venuto dall'oscurità - un cane.
Mamoulian fece un salto all'indietro, sconvolto dalla paura, ma era Breer la vittima designata. A pochi passi dall'obiettivo il cane spiccò un balzo, assalendo Breer in pieno petto. L'impatto lo fece cadere all'indietro, di schiena, e il cane gli si avventò contro, cercando di azzannarlo alla gola. Breer era armato di un lungo e affilato coltello da cucina, ma non sembrava volerlo usare. La sua grassa faccia scoppiò in una risata mentre il cane si dimenava, cercando di raggiungere il collo. Breer afferrò con semplicità la mandibola inferiore del cane. L'animale chiuse le fauci, azzannando la mano di Breer. Immediatamente si rese conto di aver commesso un errore. Con la mano libera, Breer afferrò la parte posteriore della testa dell'animale, un insieme di pelo e di muscoli, poi, con uno scatto, fece girare il collo e la testa in direzioni opposte. Si udì un suono lancinante. Il cane ruggì di gola, senza però mollare la mano del suo esecutore, mentre il sangue schizzava dalla bocca, fra i denti ancora stretti. Breer diede al cane un ulteriore strappo letale. Gli occhi della bestia divennero bianchi e le zampe si irrigidirono. Cadde pesantemente su Breer, morto.
Altri cani abbaiarono da lontano, in risposta all'urlo di morte che avevano sentito. L'Europeo guardò nervosamente a destra e a sinistra, lungo il recinto.
« Alzati! Muoviti! »
Breer liberò la mano dalla stretta del cane e si scrollò di dosso il cadavere. Stava ancora ridendo.
« Facile », disse.
« Ce ne sono ancora. »
« Portami da loro. »
« Forse sono troppi per potertene occupare contemporaneamente. »
« E stato lui? » domandò Breer dando un calcio all'animale per voltarlo e farlo vedere bene all'Europeo.
« Lui? »
« A strapparti via il dito. »
« Non lo so », rispose l'Europeo cercando di non guardare Breer che aveva il viso imbrattato di sangue, aperto in un largo sorriso con gli occhi scintillanti di un adolescente innamorato.
« I canili », insisté. « Andiamo a eliminarli tutti. »
« Perché no? »
L'Europeo si incamminò lungo il recinto, in direzione dei canili. Grazie a Carys, conosceva la dislocazione del santuario come il palmo della sua mano. Breer procedeva di pari passo; puzzava di sangue e sembrava avere una molla ai piedi. Raramente si era sentito così vivo.
Dopotutto la vita era bella, vero? Tanto bella!
I cani abbaiavano.
Nella sua stanza, Carys mise la testa sotto il cuscino per non sentir tutto quel baccano. Il giorno dopo si sarebbe fatta coraggio e avrebbe detto a Lillian che era stufa di restare sveglia per tutta la notte per colpa di bestie isteriche. Se voleva iniziare a stare bene, doveva, innanzitutto, imparare a rispettare i ritmi di vita normale. E cioè doveva occuparsi delle sue faccende di giorno e dormire di notte.
Mentre si girava per trovare una posizione nel letto, ebbe una rapida visione. L'immagine scomparve prima che potesse coglierla pienamente, ma ciò che vide fu abbastanza per svegliarla di colpo. Vide un uomo - senza volto, ma familiare -che attraversava un prato. Ai suoi piedi, una cosa schifosa che strisciava accanto a lui, con cieca adorazione, e ondeggiava sibilando come i serpenti. Non ebbe il tempo di vedere che cosa fosse esattamente, ma forse fu meglio così.
Si girò per la terza volta e ordinò a se stessa di dimenticare quella sciocchezza.
Era curioso: i cani avevano smesso di abbaiare.
E poi, dopotutto, che cos'era la cosa peggiore che gli potesse fare, che cos'era la cosa veramente peggiore? Whitehead si era fatto quella domanda così spesso che ormai gli era diventata familiare. Naturalmente, i possibili tormenti fisici erano eterni. A volte, tra il sudore delle sue notti insonni, pensava di meritare tali tormenti - se un uomo potesse morire una dozzina di volte o anche più -poiché non era facile pagare per i crimini di potere che aveva commesso. Che cosa, Dio santo, che cosa aveva fatto...
Eppure, dannazione, chi non ha commesso mai crimini da confessare, una volta giunta l'ora della resa? Chi non ha mai agito per avidità o invidia, o anche lottato per una determinata posizione, e dopo averla raggiunta non si è arroccato su posizioni dispotiche e vendicative invece di lasciar correre? Non poteva essere ritenuto responsabile di tutto ciò che aveva fatto la Corporation. Se era stato introdotto sul mercato un preparato medico che aveva creato gravi deformazioni nei feti, perché lui doveva essere biasimato per averne tratto qualche profitto? Quelle considerazioni- di ordine morale appartenevano agli scrittori animati da spirito di vendetta: non certo al mondo reale dove la maggior parte dei crimini vengono puniti con prosperità e influenza; dove il verme raramente si rivolta e quando lo fa è immediatamente schiacciato; dove la cosa migliore che può sperare un uomo è di raggiungere il vertice delle sue ambizioni grazie alle sue facoltà mentali, alle azioni furtive o alla violenza. Quello era il mondo reale e l'Europeo conosceva bene l'ironia della vita, come lui, del resto. Non gliel'aveva forse insegnato Mamoulian? In tutta coscienza, come poteva l'Europeo rivoltarsi e punire i suoi stessi studenti per aver appreso troppo bene la lezione?
Probabilmente morirò in un letto caldo, pensò Whitehead, con le tende socchiuse su un cielo primaverile e circondato da ammiratori. « Non c'è nulla da temere », disse ad alta voce. Il vapore aumentava. Le piastrelle, disposte con precisione ossessionante, sudavano con lui: ma erano fredde, mentre lui era caldo.
Nulla da temere.
36
Dalla porta del canile, Mamoulian guardava Breer al lavoro. Questa volta si trattava di un autentico massacro, non di una prova di forza come quella che si era verificata prima con il cane al cancello. Il grassone si limitò ad aprire le gabbie e poi le gole dei cani, una dopo l'altra, usando il suo coltello dalla lunga lama. Intrappolati nelle celle, gli animali costituivano una facile preda. L'unica cosa che potevano fare era girare vorticosamente, cercando di azzannare il loro assassino, ma tutto era inutile: anch'essi sapevano che la battaglia era persa prima ancora di incominciare. Cagavano merda mentre stramazzavano al suolo con la gola squarciata e i fianchi sporchi di sangue, gli occhi si giravano verso l'alto in direzione di Breer, come occhi di santo. Uccise anche i cuccioli strappandoli dal grembo della madre e schiacciando loro la testa con la mano. Bella si ribellò con maggiore veemenza degli altri, decisa a ferire, per quanto le fosse possibile, l'assassino prima di essere ammazzata a sua volta. Breer contraccambiò la gentilezza, mutilandole il corpo dopo averla fatta tacere: ulteriori ferite per vendicare ciò che il cane aveva fatto a lui. Terminata la lotta -si udivano solo i rumori di qualche zampa che si contraeva o di qualche flatulenza emessa dai cani ormai agonizzanti - Breer dichiarò di aver finito. Si incamminarono insieme verso la casa.
Trovarono altri due cani: gli ultimi due. Il Mangialamette se ne liberò velocemente. Ormai, sembrava più un macellaio di un bibliotecario. L'Europeo lo ringraziò. Era stato più facile di quanto avesse immaginato.
« Ora ho da fare qualche cosa all'interno della casa », disse a Breer.
« Vuoi che venga con te? »
« No. Ma potresti aprirmi la porta, se ci riesci. »
Breer andò alla porta di servizio e ruppe il vetro con un pugno, poi afferrò la maniglia dall'interno e aprì la porta, facendo così entrare Mamoulian in cucina.
« Grazie. Aspettami qui. »
L'Europeo scomparve nell'oscurità della casa. Breer lo osservò entrare poi, quando il maestro non fu più visibile, entrò nel santuario con il viso sorridente coperto di sangue.
Sebbene la coltre di vapore attutisse i suoni, Whitehead ebbe l'impressione di udire qualcuno muoversi nella casa. Probabilmente si trattava di Strauss: ultimamente l'uomo soffriva di insonnia. Whitehead chiuse nuovamente gli occhi.
Da qualche parte, lì vicino, udì chiaramente una porta che si apriva e che si chiudeva: la porta dell'anticamera che conduceva alla sauna. Si alzò in piedi e scrutò l'oscurità.
« Marty? »
Non ebbe risposta. Non era nemmeno più tanto sicuro di aver sentito il rumore della porta. Non era facile giudicare i rumori. E anche la vista poteva ingannare. Il vapore si era fatto ancora più spesso; non riusciva nemmeno a vedere l'altra parte della stanza.
« C'è qualcuno? » domandò ancora.
Il vapore era come una parete spessa e grigia di fronte ai suoi occhi. Maledì se stesso per averne voluto così tanto.
« Martin? » ripeté. Sebbene non ci fossero né suoni né ombre che potessero confermare i suoi sospetti, sapeva di non essere solo. C'era qualcuno ed era molto vicino, anche se non rispondeva. Mentre parlava, si spostava lentamente lungo le piastrelle, fino all'asciugamano che teneva ben piegato di fianco a lui. Lo cercò tastando con la mano, mentre teneva gli occhi fissi sul muro di vapore. Nell'asciugamano c'era una pistola. Finalmente riuscì a toccarla.
Questa volta fu con un tono più calmo che si rivolse all'invisibile visitatore. La pistola gli conferiva coraggio.
« So che sei lì. Fatti vedere, sporco bastardo. Non mi fai paura. »
Qualcosa si mosse nel vapore. Iniziò un turbinio che si moltiplicò. Whitehead sentiva nelle orecchie il battito del cuore raddoppiato. Chiunque fosse (fa' che non sia lui, oh Cristo, fa' che non sia lui), era pronto. Poi, improvvisamente, il vapore si aprì, reciso da una ventata fredda. Il vecchio alzò la pistola. Se era Marty che gli stava giocando qualche brutto tiro, sicuramente gliel'avrebbe fatta pagare. Nel frattempo la mano che impugnava la pistola aveva iniziato a tremare.
E, finalmente, vide una figura stagliarsi di fronte a lui. Nella nebbia era ancora irriconoscibile. Ma poi una voce, che aveva sentito centinaia di volte nei suoi sogni fradici di vodka, gli disse:
« Pellegrino ».
Il vapore si rarefece. Davanti a lui si ergeva l'Europeo. Il suo viso non era cambiato in quei diciassette anni trascorsi dal loro ultimo incontro. Le sopracciglia arcuate, gli occhi talmente infossati nelle orbite da scintillare come acqua sul fondo di un pozzo. Era rimasto praticamente lo stesso, come se il tempo - per rispetto - fosse passato sfiorandolo appena.
« Siediti », gli disse.
Whitehead non si mosse; teneva ancora la pistola puntata verso l'Europeo.
« Per favore, Joseph, siediti. »
Sarebbe stato meglio se si fosse seduto? Avrebbe forse evitato il colpo mortale fingendosi docile e mansueto? O non era forse troppo pensare che quell'uomo si sarebbe abbassato per capirlo? Che razza di sogno sto vivendo - si rimproverò Whitehead - per credere semplicemente che sia venuto a ferirmi o a farmi del male? Quegli occhi indicano qualcosa di molto peggio.
Si sedette. Sapeva di essere completamente nudo, ma non se ne preoccupò. Mamoulian stava osservando il suo corpo: il suo sguardo andava ben oltre la carne e le ossa. Whitehead sentiva che lo stava fissando fin nel profondo del cuore. Non riuscì a spiegarsi il sollievo che aveva provato quando finalmente aveva riconosciuto l'Europeo.
« È passato tanto tempo... » fu tutto quel che riuscì a dire: una frase sciocca e banale. Aveva l'aria di un amante fiducioso, che desiderava ardentemente una riconciliazione? Forse non era poi tanto lontana dalla realtà quella sensazione. La singolarità del loro odio reciproco aveva la purezza dell'amore.
L'Europeo lo stava studiando.
« Pellegrino », mormorò con tono di rimprovero, guardando la pistola. « Non ce n'è bisogno. Non serve. »
Whitehead sorrise e appoggiò la pistola sull'asciugamano di fianco a lui.
« Avevo paura che venissi », disse nel tentativo di spiegarsi. « Per questo ho comperato i cani. Sai bene che non posso soffrire i cani. Ma sapevo che tu li odiavi più di me. »
Mamoulian si mise un dito sulle labbra per far zittire Whitehead.
« Posso perdonarti i cani », disse. Chi stava perdonando: le bestie o l'uomo che li aveva utilizzati contro di lui?
« Perché sei tornato? » domandò Whitehead. « Dovevi sapere che non ti avrei accolto molto bene. »
« Sai bene perché sono tornato. »
« No, non lo so. Davvero. Non lo so. »
« Joseph », sospirò Mamoulian. « Non trattarmi come uno dei tuoi uomini politici. Non mi puoi comperare con qualche promessa da buttare via appena gira la fortuna. Non puoi trattarmi in questo modo. »
« Non l'ho mai fatto. »
« Non raccontarmi storie, per favore. Non ora. Non in questo momento, ormai ci è rimasto poco tempo. Questa volta, visto che è l'ultima volta, cerchiamo di essere onesti l'uno con l'altro. Apriamo i nostri cuori. Non ci saranno altre opportunità. »
« Perché no? Perché non possiamo ricominciare da capo? »
« Ormai siamo vecchi e stanchi. »
« lo no. »
« E allora, se non sei stanco, perché hai lottato per il tuo Impero? »
« Non sei stato tu a crearlo? » domandò Whitehead, conoscendo già perfettamente la risposta.
Mamoulian annuì. « Non sei l'unico uomo che ho aiutato a fare fortuna. Avevo amici nelle più alte sfere; tutti come te studenti della Provvidenza. Avrebbero potuto vendere e comperare mezzo mondo, se gliel'avessi domandato: me lo dovevano. Ma nessuno di loro è mai stato come te, Joseph. Tu eri il più ingordo e il più abile. Solo con te ho intravisto la possibilità di... »
« Va' avanti », lo interruppe Whitehead, « la possibilità di che cosa? »
« Salvezza », rispose Mamoulian quasi ridendo. « Per tutti », riprese con tono tranquillo.
Whitehead non aveva mai immaginato che avrebbe potuto sostenere una pacata conversazione in una stanza piastrellata di bianco, scambiandosi reciprocamente ingiurie. Richiamare alla mente vecchi ricordi, osservare un pidocchio che scappa. In quel modo era molto gentile, ma anche molto più doloroso. Niente punisce più della sconfitta.
« Ho commesso qualche errore », disse, « e ne sono davvero spiacente. »
« Dimmi la verità », lo rimproverò Mamoulian.
« È la verità, dannazione. Mi dispiace. Che cos'altro vuoi? La terra? Le società? Che cosa vuoi? »
« Tu mi sorprendi, Joseph. Persino adesso, giunto ormai alla fine, cerchi di fare affari. Hai perso. Hai perso su tutta la linea. Avrei potuto renderti grande. »
« Io sono grande. »
« Lo sai meglio di me, Pellegrino », disse in tono pacato. « Che cosa saresti stato senza di me? Con la tua lingua sciolta e i vestiti alla moda. Un attore? Un venditore di automobili? Un ladro? »
Whitehead trasalì e non solo per la frecciatina di Mamoulian. Il vapore non era più uniforme dietro Mamoulian, era come se dei fantasmi avessero cominciato ad agitarlo.
« Tu non eri nessuno. Abbi almeno la bontà di riconoscerlo. »
« Sono stato io ad assumerti », sottolineò Whitehead.
« Oh, certo », rispose Mamoulian. « Eri molto avido, questo te lo concedo. Eri avido da morire. »
« Avevi bisogno di me », replicò Whitehead. L'Europeo l'aveva ferito; ormai, anche andando contro il buon senso, voleva essere lui a ferirlo. Questa era casa sua, dopotutto. L'Europeo era un intruso: disarmato e senza aiuto. E voleva conoscere la verità. Bene, l'avrebbe saputa, fantasmi o non fantasmi.
« Perché avrei avuto bisogno di te? » domandò Mamoulian. Aveva un tono carico di disprezzo. « Che cosa conti, tu? »
Whitehead rimase silenzioso per qualche istante: poi, improvvisamente, lasciò uscire le parole a briglia sciolta, senza curarsi delle conseguenze.
« Perché vivessi al tuo posto, perché eri troppo debole per farlo! Ecco perché hai scelto me. Per poter provare tutto attraverso di me. Le donne, il potere: tutto. »
« No ... »
« Hai un'aria malandata, Mamoulian... »
Aveva chiamato l'Europeo per nome, visto? Dio, che sollievo! Aveva chiamato quel bastardo per nome, e non aveva abbassato lo sguardo quando lo aveva guardato con i suoi occhi scintillanti, perché stava dicendo la verità, non era forse vero? Lo sapevano entrambi benissimo. Mamoulian era pallido, piuttosto insignificante. Senza più voglia di vivere. Improvvisamente, Whitehead si rese conto che avrebbe potuto vincere quell'incontro, se si fosse comportato in maniera intelligente.
« Non cercare di fregarmi », disse Mamoulian. « Avrò quello che mi spetta. »
« E cioè? »
« Te. La tua morte. La tua anima, per essere più precisi. »
« Hai già avuto quello che ti aspetta e anche qualcosa di più, anni fa. »
« Non era questo il nostro patto, Pellegrino. »
« Tutti facciamo dei piani e poi cambiamo le regole. »
« Non è così che si gioca. »
« Esiste solo un gioco. Me l'hai insegnato tu. L'importante è vincere quello... il resto non conta. »
« Riuscirò a ottenere ciò che è mio », disse Mamoulian con calma determinazione. « È un fatto scontato. »
« Perché non mi uccidi e la fai finita? »
« Mi conosci, Joseph. Voglio che tutto finisca in modo pulito. Ti darò il tempo necessario per organizzare gli affari. Per chiudere i registri, per mettere a posto le cose con la giustizia, restituire le terre a coloro a cui le hai rubate. »
« Non avrei mai pensato che fossi un comunista. »
« Non sono qua per discutere di politica. Sono venuto a dettarti le mie condizioni. »
Bene, pensò Whitehead, per lo meno l'esecuzione è rinviata. Scacciò dalla mente ogni idea di fuga, per paura che l'Europeo potesse fiutare qualche cosa. Mamoulian aveva infilato una mano nella tasca della giacca. Ne estrasse una grande busta piegata in due.
« Disporrai dei tuoi beni in conformità alle regole qui elencate. »
« Devo lasciare tutto ai tuoi amici, suppongo. »
« Non ho amici. »
« Per me va bene », disse Whitehead alzando le spalle. « Sono ben felice di sbarazzarmene. »
« Non ti avevo forse avvertito che sarebbe stato faticoso? »
« Darò via tutto. Diventerò un santo se vuoi. Sarai soddisfatto a quel punto? »
« Solo quando morirai, Pellegrino », replicò l'Europeo.
« No. »
« Tu e io insieme. »
« Morirò quando sarà giunta la mia ora », disse Whitehead, « non la tua. »
« Sicuramente non te ne vorrai andare da solo », alle spalle dell'Europeo i fantasmi si stavano facendo imponenti. Anche il vapore sembrava in fermento.
« Io non andrò da nessuna parte », ribatté Whitehead. Gli sembrò di scorgere dei visi fra le nubi di vapore. Forse non era molto saggio provocarlo, decise. « ... che male c'è? » mormorò, facendo attenzione a tenersi alla larga da tutto ciò che il vapore poteva contenere. Le luci nella sauna si stavano affievolendo. Gli occhi di Mamoulian risplendevano nella crescente oscurità e sembrava che anche dalla sua gola partissero fasci di luce diretti verso l'alto. I fantasmi presero forma, facendosi sempre più tangibili.
« Basta », lo pregò Whitehead, ma era una speranza vana. La sauna era scomparsa. Il vapore stava scaricando i suoi passeggeri: Whitehead avvertiva il loro sguardo su di lui. Solo a quel punto si rese conto di essere nudo. Si abbassò per raccogliere l'asciugamano e mentre si rialzava notò che Mamoulian se n'era andato. Si legò l'asciugamano attorno ai fianchi. Nell'oscurità avvertiva che i fantasmi si prendevano gioco del suo torace, del suo pene raggrinzito e dell'assurdità della sua pelle flaccida. L'avevano conosciuto in tempi certamente migliori: quando il torace era ancora forte, il pene arrogante e la carne viva, sia nudo sia vestito.
« Mamoulian », mormorò, sperando che l'Europeo potesse cancellare quella visione prima che perdesse il controllo. Ma l'appello rimase senza risposta.
Fece un passo sulle piastrelle scivolose in direzione della porta.
L'Europeo se n'era davvero andato; sarebbe bastato uscire dalla stanza, trovare Strauss e un luogo dove potersi nascondere. Ma i fantasmi non avevano ancora finito. Il vapore, sempre più cupo, sembrò alzarsi per un istante e nelle sue viscere apparve qualcosa di luminoso. All'inizio non riuscì a comprendere di che cosa si trattasse: un vago biancore, agitazione... qualcosa di simile a fiocchi di neve.
Poi, dal nulla, una leggera brezza. Apparteneva al passato: aveva l'odore del passato. Odore di cenere e di polvere di mattoni; di annosa sporcizia umana, di capelli bruciati, di rabbia. Ma c'era anche un altro odore, e quando egli lo percepì subito il significato di quell'aria scintillante divenne chiaro; lasciò cadere l'asciugamano e si coprì gli occhi, mentre lacrime supplichevoli gli colavano sul volto.
Ma i fantasmi non gli diedero tregua, portandosi via il profumo dei petali.
37
Carys rimase in ascolto sul pianerottolo di fronte alla stanza di Marty. Dall'interno proveniva il rumore di un sonno profondo. Esitò un attimo - indecisa se entrare o meno - poi scivolò lungo le scale, senza svegliarlo. Sarebbe stato troppo comodo infilarsi nel letto accanto a lui, piangere sulla sua spalla, vicino alla vena che pulsava, liberarsi di tutte le sue angosce, pregandolo di essere forte al posto suo. Comodo e pericoloso. Nel suo letto, non era davvero al sicuro. Avrebbe trovato la forza da sola e in se stessa, non c'era altra soluzione.
A metà della seconda rampa di scale, si fermò. Avvertiva qualche cosa di strano nel corridoio buio. Il freddo dell'aria della notte: e qualcos'altro. Rimase ad aspettare sulla scala, fin quando gli occhi si abituarono all'oscurità. Forse avrebbe dovuto semplicemente tornare di sopra, chiudere a chiave la porta della sua camera e prendere qualche pillola che l'avrebbe aiutata a far passare le ore che mancavano al sorgere dei sole. Sarebbe stato sicuramente più facile che continuare a vivere in quel modo, con i nervi a fior di pelle. In fondo all'anticamera, in direzione della cucina, scorse qualcosa che si muoveva. Una massa nera si stagliava contro la porta, poi scomparve.
Continuava a ripetersi che si trattava solo dell'oscurità che le stava giocando qualche brutto scherzo. Passò una mano sulla parete, tastando con la punta delle dita il disegno in rilievo della tappezzeria, fin quando trovò l'interruttore della luce. Lo girò. Il corridoio era vuoto. Le scale, alle sue spalle, erano vuote. Il pianerottolo era vuoto. « Stupida », si disse e scese gli ultimi tre gradini lungo il corridoio che portava in cucina.
Prima di arrivarci, i suoi sospetti circa la folata di aria fredda trovarono conferma. La porta di servizio era in linea retta con la porta della cucina ed entrambe erano aperte. Era strano, quasi sorprendente, vedere la casa, di solito sigillata ermeticamente, così esposta alla notte. La porta aperta era come una ferita nel fianco. Passò dal pavimento ricoperto di moquette dell'ingresso al freddo linoleum della cucina: era quasi arrivata a chiudere la porta quando si accorse dei pezzi di vetro che brillavano sul pavimento. La porta non era stata lasciata aperta per sbaglio: qualcuno l'aveva forzata per entrare. Uno strano odore legno di sandalo - le solleticava il naso. Era piuttosto nauseante, ma quello che poteva significare lo era ancora di più.
Doveva avvisare Marty: era la prima cosa da fare. Non era necessario ritornare di sopra. C'era un telefono a muro in cucina.
Aveva la testa confusa. Una parte di lei stava valutando freddamente il problema e le varie soluzioni: dov'era il telefono, che cosa doveva dire a Marty. L'altra parte, la parte dipendente dalla droga, costantemente spaventata, era nel panico più completo. C'era qualcosa lì vicino (legno di sandalo), qualcosa di mortale nell'oscurità, qualcosa che stava marcendo nell'oscurità.
La parte più fredda e razionale ebbe la meglio. Si diresse al telefono, felice di essere a piedi nudi, così non faceva praticamente rumore. Alzò il. ricevitore e compose il diciannove, il numero di stanza di Marty. Suonò una volta, poi un'altra. Sperava che si svegliasse in fretta. Sapeva bene che le sue riserve di autocontrollo erano piuttosto limitate.
« Sbrigati, sbrigati... » disse a fatica.
Sentì un rumore alle sue spalle; piedi pesanti che frantumavano i minuscoli pezzi di vetro sul pavimento. Si girò per vedere chi fosse: davanti alla porta si stagliava una mostruosità, con un coltello in mano e la pelle di un cane buttata sopra la spalla. Il telefono le cadde di mano e la parte di lei, che era stata presa dal panico, prese il sopravvento.
Te l'ho detto, urlava, Te l'ho detto!
Marty sentì squillare il telefono in sogno. Sognò di svegliarsi, di alzare il ricevitore e di parlare con la morte. Ma il telefono continuava a suonare anche se aveva alzato il ricevitore, si scosse dal sonno e si ritrovò in mano la cornetta: dall'altra parte del filo nessuno parlava.
Rimise a posto il ricevitore. Ma aveva davvero squillato? Forse no. Comunque, non valeva la pena di riprendere il sogno: la conversazione con la morte non era particolarmente gradevole. Buttò le gambe fuori del letto, si infilò i jeans e si diresse verso la porta, con gli occhi ancora semichiusi, quando dal piano di sotto udì provenire il rumore dei vetri rotti.
il Macellaio era saltato verso di lei, gettandosi alle spalle la pelle del cane per rendere più facile la manovra. Lei schivò il colpo una volta, poi un'altra ancora. Era lento nei movimenti, ma lei sapeva benissimo che se le avesse messo le mani addosso sarebbe stata la fine. Si trovava fra lei e l'uscita: ormai era obbligata a farsi strada verso la porta posteriore.
« Non uscire di lì... » le disse, con una voce che era uguale al suo odore, un miscuglio di dolcezza e di marciume, « non è molto sicuro. »
Quel consiglio era la miglior raccomandazione che avesse mai sentito. Scivolò lungo il tavolo della cucina e uscì dalla porta lasciata aperta, cercando di evitare con un salto i frammenti di vetro. Riuscì a chiudersi la porta alle spalle - caddero altri pezzi di vetro - e si ritrovò subito fuori di casa. Alle sue spalle, sentì la porta che si apriva rumorosamente, come se fosse stata scardinata. Sentiva i passi dell'assassino del cane - come tuoni - che la inseguivano.
Il bruto era lento; lei era agile. Lui era pesante; lei era leggera, quasi invisibile. Invece di girare lungo i muri della casa - si sarebbe ritrovata sulla facciata principale, con il prato illuminato - si allontanò dalla costruzione, pregando Dio che quella bestia non riuscisse a vederla nell'oscurità.
Marty scese barcollando le scale, cercando di scrollarsi di dosso il sonno. La ventata di freddo nell'ingresso lo svegliò completamente. Proseguì fino alla cucina. Ebbe soltanto il tempo di scorgere i frammenti di vetro e il sangue sul pavimento prima che Carys si mettesse a urlare.
Da chissà dove qualcuno urlava. Anche Whitehead lo sentì, era la voce di una donna, ma era talmente preso dai suoi pensieri desolati che non riuscì a riconoscere l'urlo. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da che aveva iniziato a piangere: gli sembrava un secolo. Gli girava la testa a causa dell'iperventilazione e gli faceva male la gola per i troppi singhiozzi.
« Mamoulian... », supplicò di nuovo, « non lasciarmi qui. »
L'Europeo aveva avuto ragione - non voleva andarsene da solo nel nulla. Sebbene avesse pregato centinaia di volte, senza risultato, di essere salvato da quella situazione, ora, alla fine, l'illusione cominciò a svanire. Le piastrelle, simili a timidi granchi bianchi, affondavano sotto il suo peso: venne nuovamente assalito dall'odore acre dei suo stesso sudore, ma, ormai, quell'odore gli sembrava più piacevole di qualsiasi altra cosa. L'Europeo stava di fronte a lui, forse non si era mai mosso da là.
« Possiamo parlare ora, Pellegrino », disse.
Whitehead stava tremando, nonostante il caldo. Gli battevano i denti.
« Sì », rispose.
« Con calma? In maniera gentile e dignitosa? »
Ripeté di nuovo: « Sì ».
« Non ti è piaciuto quello che hai visto. »
Whitehead si portò le mani sul viso pallido; con il pollice e con l'indice strinse la radice del naso. « No, maledizione », ammise. Quelle immagini non se ne sarebbero andate. Né allora né mai.
« Forse faremmo meglio a parlare da qualche altra parte », suggerì l'Europeo. « Non c'è una stanza dove possiamo andare? »
« Ho sentito Carys. Stava gridando. »
Mamoulian chiuse gli occhi per un istante e scorse i pensieri della ragazza. « Ora sta bene », affermò.
« Non farle del male. Per favore. È tutto quello che ho. »
« Non le ho fatto del male. Ha soltanto scoperto quello che ha combinato il mio amico. »
Breer non si era limitato a scuoiare il cane, ma gli aveva anche tolto le budella. Carys era scivolata su quella mostruosità e non era riuscita a trattenere un grido. Una volta ridisceso il silenzio, si mise ad ascoltare i passi del mostro. Qualcuno stava correndo verso di lei.
« Carys », era la voce di Marty.
« Sono qua. »
La trovò con lo sguardo fisso sulla testa del cane appena scuoiato.
« Chi cazzo l'ha ridotto così? » sbottò orripilato.
« E ancora qui », disse lei. « Mi ha seguita fuori di casa. »
Le alzò il viso. « Stai bene? »
« È solo un cane morto », rispose. « È stato solo lo spavento. »
Mentre ritornavano verso casa, si ricordò del sogno che l'aveva svegliata. C'era un uomo senza volto - forse stavano proprio camminando sulle sue impronte -con tracce di escrementi sulle scarpe.
C'è qualcun altro qui », affermò con certezza assoluta. « Qualcuno oltre l'assassino del cane. »
« Sicura? »
Lei annuì con la testa, il volto impassibile, poi afferrò il braccio di Marty. « E lui è ancora peggio, amico mio. »
« Ho una pistola nella mia stanza. »
Ritornarono alla porta della cucina: la pelle del cane giaceva nello stesso punto di prima.
« Sai chi sono? » le domandò.
Lei scosse la testa. « Uno è grasso », fu tutto quello che riuscì a dire, « e ha l'aria stupida. »
« E quell'altro? Lo conosci? »
L'altro? Certo che lo conosceva, bene quanto il palmo della sua mano. Nelle ultime settimane aveva pensato a lui centinaia e centinaia di volte; qualcosa le diceva che lo aveva sempre conosciuto. Era l'Architetto che le appariva in sogno, che le stringeva il collo, e che ora era tornato per ripulire la sporcizia che lo aveva seguito sul prato. Esisteva forse un periodo in cui non era vissuta alla sua ombra?
« A cosa stai pensando? »
La stava guardando con aria estremamente tenera, cercando di nascondere la confusione che regnava in lui con aria eroica.
« Un giorno te lo dirò », rispose. « Ora dobbiamo andare a prendere quella dannata pistola. »
In casa regnava la calma più assoluta. Non si sentivano più né passi. né grida. Marty prese la pistola dalla sua stanza.
« Ora vediamo », disse. « Controlliamo che stia bene, »
Con l'assassino del cane ancora in circolazione, era necessario procedere con molta cautela. Whitehead non era in nessuna delle camere da letto e nemmeno negli spogliatoi. Anche i bagni, la biblioteca, lo studio e i saloni erano vuoti. Fu Carys che si ricordò della sauna.
Marty spalancò la porta della sauna. Si trovò di fronte a un muro caldo e umido con il vapore che saliva verso il soffitto. Il locale era stato sicuramente usato di recente. Ma la stanza piena di vapore, il bagno turco e il solarium erano completamente vuoti. Dopo aver dato una rapida occhiata alle varie stanze, Marty tornò indietro e trovò Carys che barcollava appoggiata allo stipite della porta.
« ... improvvisamente mi sono sentita male », spiegò lei, « è successo così, all'improvviso. »
Marty riuscì a sorreggerla mentre le gambe le cedevano.
« Siediti un momento. » L'accompagnò a una panchina. C'era appoggiata una pistola ricoperta dall'umidità.
« Sto bene », insistette lei. « Vai a cercare Papà. Ti aspetterò qui. »
« Hai un aspetto orrendo. »
« Grazie », sorrise. « Ora, ti spiacerebbe andare? Preferirei vomitare da sola, se non ti dispiace. »
« Ne sei sicura? »
« Muoviti, accidenti. Lasciami da sola. Sto già meglio. »
« Chiudi bene la porta quando esco », la pregò Marty.
« Agli ordini », rispose lei, lanciandogli uno sguardo nauseato. La lasciò nella stanza piena di vapore e aspettò fino a quando sentì il rumore della serratura che si chiudeva. Questo non bastò a rassicurarlo completamente, ma era meglio di niente.
Ritornò verso il vestibolo, cercando di prestare la massima attenzione, poi decise di dare una rapida occhiata alla parte anteriore della casa. Le luci sul prato erano accese; se il vecchio fosse stato là, l'avrebbe visto subito. Questo, naturalmente, rendeva Marty un facile bersaglio, ma per lo meno era armato. Aprì la porta principale e uscì sul vialetto. I fari illuminavano bene il giardino. Una luce più chiara di quella del sole, ma surreale, morta. Guardò attentamente il prato, prima a destra e poi a sinistra. Non c'era traccia del vecchio.
Alle sue spalle, nell'ingresso, Breer stava osservando l'eroe alla ricerca del suo maestro. Solo dopo che si fu allontanato a sufficienza, il Mangialamette uscì goffamente dal suo nascondiglio con le mani sporche di sangue per dirigersi verso il desiderio del suo cuore.
38
Dopo aver chiuso la porta, Carys tornò barcollando sulla panchina e cercò di controllare la sensazione di nausea che avvertiva. Non sapeva che cosa l'avesse provocata, ma era decisa a rimettersi al più presto. Poi sarebbe andata ad aiutare Marty nella ricerca di Papà. Il vecchio era stato in quel luogo di recente, questo era chiaro. Il fatto che se ne fosse andato abbandonando la pistola non faceva presagire niente di buono.
Una voce insinuante la svegliò da quello stato di meditazione e le fece alzare gli occhi. C'era un'ombra in mezzo al vapore, proprio di fronte a lei, un pallone proiettato in aria. Lo guardò sospettosa, cercando di farsene una ragione. Sembrava essere formato da piccole macchie bianche. Si alzò: l'illusione, invece di scomparire, si rafforzò ulteriormente. Dei filamenti partivano da una macchia per collegarsi a un'altra: si mise a ridere quando iniziò a capire, quando finalmente il puzzle divenne chiaro. Stava ammirando dei semplici fiori, bianche corolle luminose sotto la luce del sole o della luna. Piegati da qualche vento misterioso, i rami lasciavano cadere cascate di petali. Sembravano sfiorarle il viso anche se, appoggiandovi le dita, si rendeva conto che non c'era niente.
In tutti quegli anni di dipendenza dall'eroina, non aveva mai avuto una visione così apparentemente benevola, ma nello stesso tempo così minacciosa. Quell'albero non era suo. Non era una produzione della sua mente. Apparteneva a qualcun altro che era stato in quel luogo prima di lei: all'Architetto, non c'erano dubbi. Aveva mostrato quello spettacolo a Papà e l'eco stava scomparendo soltanto in quel momento, lentamente.
Cercò di distogliere lo sguardo, soffermandosi sulla porta, ma i suoi occhi parevano incollati all'albero. Sembrava che non potesse più staccarli. Ebbe l'impressione che i rami si stessero gonfiando, come se dovessero nascere dei germogli da un momento all'altro. Il vuoto dell'albero - la sua orrenda purezza -le riempiva gli occhi, il suo biancore la paralizzava.
Poi, da qualche parte dietro i rami ondeggianti, si mosse una figura. Una donna con occhi di fuoco alzò la testa rotta e sfigurata in direzione di Carys. Quella presenza le fece tornare la nausea. Carys si sentì svenire. Non era il momento più adatto per perdere conoscenza. Non mentre i rami fiorivano, e con quella donna dietro l'albero che usciva dal suo nascondiglio e si dirigeva verso di lei. Doveva essere stata molto bella e abituata a farsi ammirare. Ma c'erano stati dei cambiamenti. Quel corpo aveva subito mutilazioni incredibili e la bellezza era sfiorita. Quando, finalmente, uscì dal nascondiglio, Carys si accorse di conoscerla, come conosceva se stessa.
« Mamma. »
Evangeline Whitehead allargò le braccia e abbracciò la figlia come non aveva mai fatto nemmeno da viva. Nella morte aveva forse scoperto la capacità di amare e di essere amata? No. Mai. Le braccia aperte erano una trappola, Carys lo sapeva bene. Se ci fosse cascata, l'albero e il suo Creatore si sarebbero impadroniti di lei per sempre.
Le rimbombava la testa e si sforzò di guardare da un'altra parte. Sentiva le gambe di gelatina: si chiese se avrebbe avuto la forza di muoversi. Barcollando, si girò verso la porta. Con sua grande sorpresa vide che era spalancata. Il catenaccio era stato strappato via.
« Marty? » chiamò.
« No. »
Si girò di nuovo, questa volta a sinistra, e vide l'assassino del cane che si trovava a meno di due metri da lei. Si era lavato le mani e la faccia e in quel momento profumava.
« Sei al sicuro con me », le disse.
Carys guardò nuovamente in direzione dell'albero. Si stava dissolvendo, la sua breve vita illusoria era stata interrotta dall'intervento di quel bruto. La madre di Carys, con le braccia ancora protese, si stava assottigliando sempre di più. Poco prima di scomparire del tutto, aprì la bocca e vomitò sangue nerastro su sua figlia. L'albero e i suoi orrori se n'erano andati. Rimanevano solo il vapore e le piastrelle, e quell'uomo con il sangue rappreso dei cani sotto le unghie, in piedi di fianco a lei. Non si era nemmeno accorta quando era entrato: l'immagine dell'albero aveva attutito i rumori del mondo esterno.
« Hai urlato », le disse. « Ti ho sentita urlare. »
Lei non ricordava di averlo fatto. « Voglio Marty », sussurrò.
« No », rispose lui educatamente.
« Dov'è? » domandò e fece per muoversi, seppure stancamente, in direzione della porta aperta.
« Ho detto di no. » Le sbarrò il passo. Non aveva bisogno di toccarla. Bastava restarle vicino per fermarla. Carys per un istante pensò di scappare fuori, nel corridoio, ma quanta strada sarebbe riuscita a fare? Di fronte a bestie inferocite e a psicotici c'erano due regole da seguire: primo, non correre. Secondo, non mostrare di avere paura. Perciò non fece nemmeno un cenno di voler fuggire quando lui si diresse verso di lei.
« Non lascerò che nessuno ti faccia del male », disse lui. Le passò il pollice sul dorso della mano, allontanando le gocce di sudore che si erano formate. Era stato un gesto leggero come una piuma, ma freddo come il ghiaccio.
« Lascerai che mi prenda cura di te, piccola? » le domandò.
Lei non rispose: il suo gesto l'aveva spaventata. Non era la prima volta quella notte che rimpiangeva di essere una sensitiva. Non si era mai sentita così per il semplice tocco di un essere umano.
« Vorrei che ti sentissi meglio », continuò lui. « Vorrei condividere... » si interruppe, come se le parole gli fossero sfuggite, « ... i tuoi segreti. »
Alzò gli occhi verso di lui. I muscoli della mascella gli fremevano mentre le faceva quella proposta: era nervoso come un ragazzino.
« In cambio », propose, « ti mostrerò i miei segreti. Vuoi conoscerli? »
Non aspettò nemmeno la risposta. Infilò la mano nella tasca della giacca piena di macchie ed estrasse una manciata di lamette. Scintillavano. Era tutto troppo assurdo, sembrava un numero da circo di poca importanza, ma eseguito senza trucchi. Quel pagliaccio che sapeva di legno di sandalo avrebbe mangiato lamette per convincerla del suo amore. Tirò fuori la lingua e vi appoggiò la prima lametta. Non le piaceva per niente: le lamette la rendevano nervosa, da sempre.
« Non farlo », disse.
« Stai tranquilla », la rassicurò, ingoiandola. « Sono l'ultimo della tribù. Vedi? » aprì la bocca e tirò fuori la lingua. « Non c'è più niente. »
« Straordinario », disse lei. E lo era davvero. Disgustoso, ma straordinario.
« E non è tutto », continuò lui, lusingato dal suo apprezzamento.
Carys pensava che sarebbe stato meglio fargli continuare quello strano spettacolo. Più tempo perdeva mostrandogli quelle perversioni, più possibilità c'erano che tornasse Marty.
« Che cos'altro sai fare? » gli domandò.
Le lasciò la mano e iniziò a slacciarsi la cintura.
« Ora vedrai », rispose, sbottonandosi i calzoni.
Oh, Cristo, pensò lei, stupida, stupida, stupida. Lo scopo di quell'ulteriore esibizione era molto chiaro, prima ancora che calasse i pantaloni.
« Ora non sento più il dolore », spiegò lui in tono cortese. « Non sentirò più dolore, qualsiasi cosa possano farmi. Il Mangialamette non sente niente. »
Sotto i pantaloni era completamente nudo. « Vedi? » domandò con una punta d'orgoglio.
E lei vide. Sul pube, completamente rasato, risaltava una serie di ornamenti applicati da lui stesso. Uncini e anelli conficcati nel grasso del basso ventre e negli organi genitali. I testicoli erano pieni di aghi.
« Toccami », la invitò.
« No... grazie », rispose.
Lui aggrottò le sopracciglia: il labbro superiore si alzò lasciando intravedere i denti che apparivano gialli su quel viso incredibilmente pallido.
« Voglio che mi tocchi », disse avvicinandosi a lei.
« Breer. »
Il Mangialamette restò immobile. Solo gli occhi sembravano tremare.
« Lasciala in pace. »
Carys conosceva quella voce; la conosceva fin troppo bene. Era l'Architetto, naturalmente, la guida dei suoi sogni.
« Non le ho fatto male », mormorò Breer. « Non è vero? Digli che non ti ho fatto male. »
« Vestiti », disse l'Europeo.
Breer si rimise i calzoni, come un ragazzo sorpreso nell'atto di masturbarsi e si allontanò da Carys, lanciandole uno sguardo cospiratore. Soltanto in quel momento lei si rese conto che nella stanza era entrato l'Architetto. Era più alto di quanto avesse mai immaginato e molto malinconico.
« Mi spiace », le disse. Il tono era esattamente quello di un maître perfetto che chiede scusa a nome di un cameriere un po' maldestro.
« Stava male », cercò di giustificarsi Breer. « È per questo che sono venuto qui. »
« Male? »
« Parlava con il muro », urlò l'altro. « Chiamava sua madre. »
L'Architetto colse al volo quell'osservazione. Fissò attentamente Carys.
« Così l'hai visto? » domandò.
« Che cos'era? »
« Niente che ti farà soffrire ancora », rispose.
« C'era mia madre. Evangeline. »
« Dimentica tutto », ordinò. « Quegli orrori sono per gli altri, non per te. » Era affascinante stare ad ascoltare quella voce tanto calma. Le risultava difficile ricordarsi degli incubi che aveva avuto: la sua presenza cancellava la memoria.
« Credo che forse dovresti venire con me », continuò lui.
« Perché? »
« Tuo padre sta per morire, Carys. »
« Davvero? » riuscì solo a dire.
Le sembrò di non essere più in sé. Le paure appartenevano al passato quando era in sua presenza.
« Se resterai qui, non farai altro che soffrire insieme con lui e non ce n'è proprio bisogno. »
Era un'offerta allettante: basta vivere secondo le regole del vecchio, basta sopportare i suoi baci, sempre così freddi. Carys guardò Breer.
« Non avere paura di lui », la rassicurò l'Architetto, appoggiandole una mano sul collo. « Non è niente e nessuno. Con me sei al sicuro. »
« Potrebbe scappare », protestò Breer quando l'Europeo lasciò che Carys andasse a prendere le sue cose in camera.
« Non mi abbandonerà mai », rispose Mamoulian. « Non le voglio fare del male e questo lei lo sa. Una volta l'ho tenuta fra queste stesse braccia. »
« Nuda, non è vero? »
« Una cosetta così minuscola; così vulnerabile », la sua voce si trasformò in un bisbiglio. « La meritavo più di lui. »
Breer non disse più nulla; continuò semplicemente a ciondolare con fare insolente lungo il muro, togliendo con un rasoio il sangue rappreso sotto le unghie. Si stava deteriorando più alla svelta di quanto l'Europeo avesse pronosticato. Aveva sperato che Breer riuscisse a sopravvivere fino a quando tutto quel caos non fosse giunto al termine, ma, conoscendo il vecchio, sapeva che lui l'avrebbe blandito e prevaricato e quello che avrebbe dovuto risolversi in pochi giorni sarebbe stato rimandato di settimane: a quel punto la condizione del Mangialamette sarebbe stata davvero disastrosa. L'Europeo era stanco. Cercare e controllare un sostituto per Breer sarebbe stato troppo per il suo fisico già indebolito.
Carys tornò proprio in quell'istante.
In qualche modo gli spiaceva perdere una spia nel campo nemico, ma sarebbero sorti troppi problemi se non l'avesse portata con sé. Innanzitutto lei lo conosceva e forse ancora più di quanto lei stessa immaginasse. Conosceva istintivamente le sue paure legate alla carne; ne aveva avuto la prova quando lei lo aveva cacciato per restare con Strauss. Sapeva bene anche quanto fosse stanco e la sua fede ormai scemasse. Ma c'era un altro motivo per il quale doveva portarla via. Whitehead aveva detto che lei era il suo unico conforto. Se l'avessero portata via, il Pellegrino sarebbe rimasto da solo e questa sarebbe stata la sua disgrazia. Mamoulian sperava di rendergli la situazione intollerabile.
39
Dopo aver cercato in tutta la zona illuminata del giardino e senza aver trovato nessuna traccia di Whitehead, Marty tornò di sopra. Era giunto il momento di trasgredire agli ordini del vecchio e di iniziare a cercarlo nel territorio proibito. La porta della stanza in fondo al corridoio, oltre la stanza di Carys, era chiusa. Con il cuore in gola Marty si avvicinò e bussò.
« Signore? »
All'inizio, non si udì nemmeno un rumore provenire dalla stanza. Poi giunse la voce di Whitehead, strana, come se si fosse appena svegliato. « Chi è? »
« Strauss, signore. »
« Entra. »
Marty spinse leggermente la porta che subito si spalancò.
Ogni volta che si era ritrovato a pensare all'interno di quella stanza, l'aveva immaginata come piena di tesori. Ma la verità era ben diversa. La stanza era spartana: muri bianchi e mobili semplicissimi le conferivano un'aria ascetica. Eppure un tesoro c'era. Una pala d'altare stava appoggiata contro una delle pareti completamente spoglie e la sua ricchezza appariva fuori posto in un'atmosfera tanto deprimente. La crocifissione rappresentata sul pannello centrale era di un sadismo incredibile: tutto oro e sangue.
Il padrone era seduto all'estremità della stanza, dietro un grande tavolo con addosso una vestaglia molto ricca. Osservò Marty senza benevolenza né aria d'accusa, affondato pesantemente nella sedia come un vecchio sacco.
« Non restare sulla porta, ragazzo. Entra pure. »
Marty si chiuse la porta alle spalle.
« Mi ricordo bene ciò che mi aveva detto, signore... che non dovevo mai venire quassù. Ma avevo paura che le fosse successo qualche cosa. »
« Sono ancora vivo », disse Whitehead, facendo un gesto con la mano. « Va tutto bene. »
« I cani... »
« ... sono morti. Lo so. Siediti. »
Fece un gesto in direzione della sedia vuota di fronte a lui, dall'altra parte del tavolo.
« Non sarebbe meglio chiamare la polizia? »
« Non ce n'è bisogno. »
« Potrebbero essere ancora nei dintorni. »
Whitehead scosse il capo. « Se ne sono andati. Siediti, Martin. Versati un bicchiere di vino. Sembra che tu abbia corso parecchio. »
Marty scostò la sedia che era stata riposta ordinatamente sotto il tavolo e si sedette. La semplice lampadina che pendeva nel mezzo della stanza gettava una luce fioca su tutto quanto. Ombre pesanti, luci spettrali: una scena da incubo.
« Metti giù la pistola. Non ti servirà. »
Marty appoggiò l'arma sul tavolo vicino al piatto ancora pieno di sottili fette di carne. Vicino al piatto, una coppa di fragole, in parte mangiate, e un bicchiere d'acqua. La frugalità del pasto ben si accordava con l'ambiente circostante. La carne, in fettine quasi trasparenti, stranamente sanguinolenta; la casuale disposizione dei piatti e della coppa di fragole. Una precisione arbitraria investiva il tutto, un misterioso senso di bellezza fortuita. Fra i due volteggiava un granello di polvere, tra la lampadina e il tavolo, e cambiava direzione con il minimo soffio d'aria.
« Assaggia la carne, Martin. »
« Non ho fame. »
« È deliziosa. L'ha comperata il mio ospite. »
« Allora lei sa di chi si tratta? »
« Naturalmente. Adesso mangia. »
Sebbene con una certa riluttanza, Marty tagliò un boccone da una fetta davanti a lui e l'assaggiò. Gli si sciolse in bocca, delicato e gustoso.
« Finiscila », insisté Whitehead.
Marty fece quanto gli era stato ordinato dal vecchio: le avventure di quella notte gli avevano messo appetito. Gli venne versato anche un bicchiere di vino rosso, che lui bevve.
« Sono certo che hai la testa piena di domande », affermò Whitehead. « Chiedi pure liberamente. Cercherò di risponderti per quanto mi è possibile. »
« Chi sono? » domandò.
« Amici. »
« Sono entrati come assassini. »
« Non è possibile che, con il passar del tempo, gli amici diventino degli assassini? » Marty non era preparato a quel paradosso. « Uno di loro si è seduto dove sei tu adesso. »
« Come posso essere la sua guardia del corpo se ancora non so chi sono i suoi amici e i suoi nemici? »
Whitehead fissò Marty con attenzione.
« E ti preoccupi? » domandò dopo qualche istante.
« Lei è stato buono con me », rispose Marty indispettito da quella domanda. « O forse mi ha preso per un bastardo senza cuore? »
« Mio Dio... » Whitehead scosse la testa. « Marty... »
« Mi spieghi. Voglio solo aiutarla. »
« Spiegare che cosa? »
« Come può invitare a cena un uomo che vuole ucciderla? »
Whitehead osservò il granello di polvere che volteggiava sopra le loro teste. Forse giudicava la domanda irrilevante o forse non sapeva che cosa rispondere.
« Vorresti aiutarmi? » domandò infine. « E allora seppellisci i cani. »
« Crede che riesca a fare soltanto questi lavori? »
« Verrà il giorno... »
« È quello che continua a ripetermi », ribatté Marty alzandosi in piedi. Non avrebbe ottenuto nessuna risposta: ormai era più che evidente. Carne e vino. Ma quella volta non era stato sufficiente.
« Posso andare adesso? » domandò e senza aspettare la risposta girò le spalle al vecchio e si diresse verso la porta.
Mentre l'apriva, l'altro disse con tono pacato: « Perdonami ». Era tanto calmo, che Marty non era sicuro che quelle parole fossero indirizzate a lui.
Si chiuse la porta alle spalle e tornò in casa per controllare che gli intrusi se ne fossero andati davvero: così sembrava. La stanza della sauna era vuota. Sicuramente Carys era tornata in camera sua.
Facendosi forza, entrò nello studio e si versò un triplo whisky dalla bottiglia, poi si sedette sulla sedia di Whitehead vicino alla finestra, sorseggiando il liquore e pensando. L'alcol non riuscì a schiarirgli le idee: però ridusse il suo senso di frustrazione. Tornò furtivamente nella sua stanza prima che l'alba illuminasse troppo chiaramente i brandelli di pelliccia sul prato.
VII
Senza limiti
40
Non era la mattina giusta per seppellire i cani: nel cielo azzurro e limpido le scie degli aeroplani che attraversavano l'America tracciavano linee perfette, i boschi erano zeppi di germogli e di nuovi esseri viventi. Però quel lavoro, per quanto sgradevole, doveva essere fatto.
Solo alla luce del sole era possibile vedere le vere dimensioni del massacro. Gli intrusi non si erano limitati a uccidere i cani per tutto il giardino, erano anche entrati nei canili, ammazzandoli sistematicamente tutti, compresa Bella e i suoi piccoli. Quando Marty arrivò al canile, vi trovò Lillian. Era stravolta. Teneva fra le mani uno dei cuccioli che aveva la testa schiacciata, come se gliel'avessero stretta tra una morsa.
« Guarda », gli disse, mostrandoglielo.
Marty non era riuscito a mangiare a colazione: il pensiero del lavoro che doveva fare gli aveva completamente tolto l'appetito. Avrebbe preferito avere qualche cosa nello stomaco, però: la pancia vuota faceva strani rumori. Aveva quasi le vertigini.
« Se solo fossi stata qui. »
« Probabilmente avrebbero ammazzato anche te », le disse. Era la pura verità.
Lillian appoggiò il cucciolo sulla paglia e accarezzò il pelo arruffato di Bella. Marty era più schizzinoso di lei. Anche se portava un robusto paio di guanti di cuoio, non osava toccare gli animali. Si dimostrò, comunque, molto più efficiente di lei e si servì del suo disgusto per cercare di portare a termine quel lavoro il più presto possibile.
Sebbene Lillian avesse insistito per aiutarlo, si era dimostrata incapace di fronteggiare la situazione. Riuscì soltanto a guardare mentre Marty avvolgeva i corpi nei sacchi di plastica nera e caricava i miseri pacchi sul retro della jeep, per poi guidare quel carro funebre improvvisato nel luogo che aveva scelto in mezzo al bosco. Era lì che dovevano essere sepolti, lontano dalla casa, secondo i desideri di Whitehead.
Aveva portato due pale, sperando nell'aiuto di Lillian, ma lei non era assolutamente in grado di fare nulla. Dovette far tutto da solo, mentre lei se ne stava in piedi con le mani affondate nelle tasche del suo sporco impermeabile, osservando i fagottini.
Era un lavoro difficile. Il suolo era pieno di radici che si intersecavano tra un albero e l'altro. Marty si ritrovò ben presto tutto sudato, sforzandosi per rompere le radici con la punta della pala. Dopo aver scavato una buca poco profonda, vi fece rotolare dentro i corpi e cominciò a ricoprirli. La terra faceva uno strano rumore sulla plastica, sembrava pioggia asciutta. Terminato il lavoro, radunò un po' di terra e fece un tumulo irregolare.
« Vado in casa a bermi una birra », disse a Lillian. « Vuoi venire? »
Lei scosse il capo. « Voglio rendere gli ultimi omaggi », mormorò.
La lasciò in mezzo al bosco e attraversò il prato che conduceva alla casa. Camminando si ricordò di Carys. A quell'ora doveva sicuramente essersi svegliata, anche se le tende della sua finestra erano ancora tirate. Che bello sarebbe stato essere un uccellino, pensò, e sbirciare tra le tende, spiando il suo corpo nudo allungato sul letto, disteso pigramente con le braccia sopra la testa, la peluria sotto le ascelle e sul punto in cui si congiungevano le gambe. Entrò in casa con il sorriso sulle labbra e un inizio di erezione.
In cucina trovò Pearl, le disse che aveva fame e andò di sopra a farsi la doccia. Quando tornò da basso, trovò uno spuntino freddo: carne, pomodori e pane. Si buttò avidamente sul cibo.
« Hai visto Carys questa mattina? » domandò con la bocca piena.
« No », rispose lei. Non aveva molta voglia di parlare e sul viso le si leggeva un certo rancore. Osservandola mentre si muoveva per la cucina, si domandava come doveva essere a letto: chissà per quale ragione, si sentiva pieno di pensieri lubrichi quel giorno, come se la sua mente rifiutasse la realtà dell'accaduto e cercasse qualche diversivo per rallegrarsi. Masticando un boccone di carne affumicata, domandò:
« Ieri sera, per cena, hai dato del vitello al vecchio? »
Pearl continuò nelle sue faccende e rispose: « Ieri sera non ha mangiato. Gli avevo lasciato del pesce, ma non l'ha neanche toccato ».
« Eppure aveva della carne », disse Marty. « L'ho finita io. E c'erano anche delle fragole. »
« Probabilmente è sceso a prendersi qualcosa. Sempre fragole », continuò. « Un giorno o l'altro gli andranno di traverso. »
Improvvisamente, Marty si ricordò: Whitehead aveva detto qualcosa a proposito dell'ospite che gli aveva portato la carne. « Comunque era buona. »
« Io non c'entro niente », disse Pearl, offesa come una moglie che ha scoperto il marito con un'altra.
Marty decise che non era il caso di continuare quella conversazione: era perfettamente inutile cercare di sollevarle il morale quando non era dell'umore giusto.
Finito di mangiare, si diresse verso la stanza di Carys. In casa, si sarebbe potuta sentir volare una mosca; dopo l'incidente della notte precedente, tutto era tornato tranquillo. I quadri ben allineati lungo le scale, i tappeti sotto i piedi, niente suggeriva qualcosa di anormale. Non ci poteva mai essere confusione in un posto come quello, sarebbe stata come una rissa in una galleria d'arte; la tradizione lo vietava.
Bussò con estrema cautela alla porta di Carys. Non rispose nessuno, allora bussò di nuovo, un po' più forte.
« Carys? »
Forse non voleva parlargli. Non era mai stato in grado di stabilire il giorno in cui erano amanti o nemici. Comunque, le sue stranezze non gli davano più fastidio. Era il suo modo di metterlo alla prova, pensò, e a lui stava bene, purché alla fine ammettesse che lo amava più di qualsiasi altro fottuto sulla faccia della terra.
Provò ad abbassare la maniglia: la porta non era chiusa a chiave. La stanza era vuota. Non solo non c'era Carys, ma nemmeno la minima traccia della sua esistenza. I libri, i profumi, i vestiti, i soprabiti tutto ciò che aveva reso quella stanza la sua stanza - era stato portato via. Le lenzuola erano state tolte dal letto e le federe dai cuscini. Il materasso nudo aveva un'aria desolata.
Marty chiuse la porta e iniziò a scendere le scale. Più di una volta aveva chiesto delle spiegazioni, ma aveva ottenuto soltanto qualche risposta vaga. Ma questo era davvero troppo. Pregò Dio che Toy fosse ancora in giro: almeno lui l'avrebbe trattato come un animale pensante.
Luther era tornato in cucina; aveva appoggiato i piedi sul tavolo fra le pile di piatti da lavare. Pearl, ormai, aveva chiaramente ceduto il campo ai barbari.
« Dov'è Carys? » fu la prima domanda di Marty.
« Non molli mai, vero? » commentò Luther. Spense la sigaretta sul piatto in cui aveva mangiato Marty e girò una pagina del giornale.
Marty sentì che stava per esplodere. Luther non gli era mai piaciuto, ma aveva dovuto sopportare le maliziose considerazioni di quel bastardo per mesi, perché il sistema gli proibiva di rispondergli come avrebbe voluto. Ma ormai il sistema aveva iniziato a sgretolarsi rapidamente. Toy se n'era andato, i cani erano morti, qualcuno appoggiava i piedi sul tavolo della cucina: a chi diamine poteva importare se avesse ridotto in poltiglia Luther?
« Voglio sapere dov'è Carys. »
« Qui non c'è nessuna donna con quel nome. »
Marty mosse un passo verso il tavolo. Luther sembrò rendersi conto che la sua battuta era stata un po' esagerata. Sbatté il giornale con forza: il sorriso era sparito.
« Non innervosirti, vecchio mio. »
« Dov'è? »
Fece passare il palmo della mano sulla pagina patinata di fronte a lui: c'era una donna nuda.
« Se n'è andata », disse.
« Dove? »
« Andata, vecchio mio. È tutto. Sei sordo, stupido o forse tutt'e due? »
Marty attraversò la cucina in un secondo esatto e strappò Luther dalla sedia. Era ormai stravolto dall'ira e la sua rabbia era incontrollabile. L'attacco fulmineo fece perdere l'equilibrio a tutti e due. Luther fu sul punto di cadere e colpì con un braccio una tazzina di caffè che si schiantò a terra. I due barcollarono per alcuni attimi per la stanza, poi Luther ritrovò l'equilibrio e ne approfittò per piazzare una ginocchiata nelle palle di Marty.
« Cri-sto! »
« Tieni giù le tue fottute mani, stronzo », urlò Luther un po' scosso dal suo improvviso attacco. « Non voglio fare a botte con te, hai capito? » Fu un invito alla calma. « Dai, vecchio mio. Calmati. »
Per tutta risposta Marty si lanciò contro di lui con i pugni serrati. Un pugno, più per caso che per vera intenzione, colpì il viso di Luther: Marty continuò allora con altri tre o quattro colpi allo stomaco e al torace. Luther, nel tentativo di indietreggiare per evitare i colpi, scivolò sul caffè e cadde. Sanguinante e senza fiato, restò sul pavimento, dove, almeno, era in salvo, mentre Marty con gli occhi che ancora gli lacrimavano per il colpo alle palle si sfregava le mani indolenzite.
« Dimmi solo dov'è... » disse ansimando.
Prima di rispondere, Luther sputò del catarro sporco di sangue.
« Cazzo, sei fuori di testa, lo sai? Non so dove sia andata. Chiedi al grande padre bianco. È lui che le compra quella fottuta eroina. »
Era logico: in quella affermazione c'era la risposta ad almeno una dozzina di domande. Spiegava la riluttanza di lei ad abbandonare il vecchio; spiegava anche la sua stanchezza, l'incapacità di vedere oltre il giorno seguente, oltre il buco seguente.
« E tu le procuri la roba? È così? »
« Forse. Ma non l'ho mai spinta a bucarsi. Non l'ho mai fatto. Era lui: è sempre stato lui. L'ha fatto per tenerla legata a sé. Cazzo, solo per tenerla legata a sé. Bastardo. » Parlava con disprezzo genuino. « Chi è il padre che farebbe una cosa del genere? Te lo dico io: quel fottuto bastardo potrebbe insegnarci vari trucchetti sporchi. » Smise di parlare per cacciarsi un dito in bocca: era ovvio che non aveva intenzione di rimanere a sorbirsi l'istinto sanguinario dì Marty. « Io non faccio domande », continuò. « So solo che ho dovuto ripulire la sua stanza, questa mattina. »
« Che fine ha fatto la sua roba? »
L'altro rimase silenzioso per molti minuti. « La maggior parte è stata bruciata », disse infine.
« Ma perché, in nome del cielo? »
« Ordini del vecchio. Hai finito adesso? »
Marty annuì. « Sì, ho finito. »
« Noi due », disse Luther, « non siamo andati d'accordo fin dall'inizio e sai perché? »
« Perché? »
« Siamo merda tutti e due », affermò. « Siamo merda che non vale niente. Ma con la differenza che almeno io so che cosa sono. Ormai l'ho imparato e sono tranquillo. Invece tu, povero bastardo, sei ancora convinto che, continuando a leccare il culo, ti verrà concesso il perdono per i tuoi peccati. »
Marty strinse i pugni e serrò le mandibole facendo quasi scricchiolare i denti.
« La verità brucia, vero? » lo punzecchiò Luther.
« D'accordo », convenne Marty. « Se sei così bravo a scoprire la verità, forse sei in grado di dirmi che cosa sta succedendo qui. »
« Te l'ho detto; non faccio mai domande. »
« Non sei mai curioso? »
« Cazzo, sì che sono curioso. Sono curioso ogni volta che trovo la ragazza piena di droga, ogni volta che vedo il vecchio sudare quando cala il buio. Ma perché dovrebbe esserci un senso in tutto questo? E pazzo: questa è l'unica risposta. là impazzito quando sua moglie se n'è andata. Così, all'improvviso. Non ce l'ha fatta. Da allora ha perso il lume della ragione. »
« E a te, questo basterebbe per spiegare tutto quello che sta succedendo?»
Luther si pulì con il dorso della mano il mento sporco di saliva mista a sangue.
« Io non parlo, non vedo, non sento », asserì.
« Ma io non sono una scimmia », rispose Marty.
41
Il vecchio accettò di vedere Marty soltanto verso sera. Ormai la sua rabbia si era calmata e forse era stato proprio per questo che l'aveva fatto aspettare. Quella sera Whitehead aveva abbandonato lo studio e la sedia vicino alla finestra. Contrariamente al solito, sedeva nella biblioteca. L'unica lampada accesa nella stanza era stata sistemata dietro la sedia. Di conseguenza, era praticamente impossibile vederlo in faccia. Inoltre, la sua voce era priva di qualsiasi sfumatura, e non faceva trasparire niente del suo stato d'animo. Marty si era aspettato quella messa in scena e, quindi, era preparato. Aveva parecchie domande da fare e non si sarebbe fatto intimorire né zittire.
« Dov'è Carys? » domandò.
La testa si mosse appena, sprofondata com'era nella sedia. Le mani chiusero il libro che stava sulle ginocchia e lo appoggiarono sul tavolo. Era un libro di fantascienza: una lettura semplice per una notte oscura.
« E a te che cosa importa? »
Marty credeva di aver previsto tutto - corruzione, prevaricazione ma non aveva certo previsto una domanda come risposta. Questo implicava altri interrogativi: a esempio, Whitehead sapeva della sua relazione con Carys? Aveva trascorso tutto il pomeriggio con l'idea fissa di lei che aveva raccontato tutto, di lei che se n'era andata dal vecchio subito dopo la prima notte per raccontargli ogni dettaglio.
« Devo sapere », insisté.
« Bene, non vedo perché non dovresti essere messo al corrente », rispose con voce amorfa. « Anche se Dio sa che si tratta di qualcosa di privato. Ci sono poche persone con le quali potrei confidarmi. »
Marty cercò di localizzare gli occhi di Whitehead, ma rimase abbagliato dalla luce dietro la sedia. Non poteva fare altro che stare ad ascoltare quella strana modulazione di voce, cercando di cogliere le illazioni che quel flusso di parole poteva contenere.
« È stata portata via, Marty. Dietro mia richiesta. In un luogo dove sarà possibile trattare i suoi problemi nella maniera più adeguata. »
« Si riferisce alla droga? »
« Ti sarai sicuramente accorto che le sue condizioni si sono aggravate in modo considerevole nelle ultime settimane. Speravo di riuscire a contenere la situazione procurandole abbastanza roba per accontentarla, ma riducendo contemporaneamente le dosi. Il sistema ha funzionato, fino a poco tempo fa. » Sospirò portandosi una mano sul viso. « Sono stato uno stupido. Avrei dovuto ammettere la sconfitta molto tempo fa e avrei dovuto mandarla in una clinica. Ma non volevo che me la portassero via: l'ho fatto solo per questo. Poi la notte scorsa - gli intrusi, i cani assassinati - mi sono reso conto di quanto sono stato egoista, sottoponendola a tali pressioni. È troppo tardi per essere possessivo e dare prova di orgoglio. Se anche si verrà a sapere che mia figlia è drogata, beh, non me ne importa niente. »
« Capisco. »
« Ti piaceva molto, vero? »
« Sì. »
« E una gran bella ragazza e tu sei solo. Parlava di te con molto affetto. Ma presto l'avremo di nuovo fra noi, ne sono sicuro. »
« Vorrei andare a trovarla. »
« Presto potrai farlo. Mi hanno detto che durante le prime settimane di cura è necessario l'isolamento. Ma puoi stare tranquillo, è in buone mani. »
Era tutto molto convincente. Ma erano bugie. Senza dubbio, bugie. La camera di Carys era stata vuotata completamente: chi poteva credere che sarebbe stata « di nuovo fra noi » fra qualche settimana? Era tutta una messa in scena. Prima che Marty potesse protestare, comunque, Whitehead riprese a parlare in tono ipnotico e convincente.
« Mi sei molto vicino, Marty. Proprio come Bill, molto tempo fa. Penso che sia ora che tu entri a far parte del nostro circolo privato, che ne dici? Domenica prossima ci sarà una cena e vorrei che ci fossi anche tu. Come nostro ospite d'onore. » Erano parole gentili e lusinghiere. Senza il minimo sforzo, il vecchio aveva avuto il sopravvento. « Durante la settimana penso che dovresti andare a Londra per comperarti qualcosa di decente da metterti. Devo avvisarti che le mie cene sono piuttosto formali. »
Riprese il libro e lo aprì.
« Eccoti un assegno. » Era infilato nel libro con tanto di firma e intestato. « Dovrebbe bastare per un buon vestito, qualche camicia e per le scarpe. E per tutto quello che avrai voglia di comperare. » L'assegno gli era stato offerto con la punta delle dita. « Accettalo, per favore. »
Marty si avvicinò e prese l'assegno.
« Grazie. »
« Puoi incassarlo presso la mia banca sullo Strand. Sono già stati avvisati. Quello che non spenderai, voglio che tu lo giochi su qualche cosa. »
« Scusi? » Marty non era sicuro di aver capito bene quell'invito.
« Insisto affinché lo giochi, Marty. Cavalli, carte, fa' quello che vuoi. Divertiti. Fallo per me, d'accordo? E quando tornerai, farai morire d'invidia questo vecchio raccontandogli le tue avventure. »
Era davvero corruzione, dopotutto. La storia dell'assegno convinse più che mai Marty che il vecchio stava mentendo su Carys, ma gli mancava il coraggio di chiarire la faccenda. Non si stava tirando indietro solo per vigliaccheria: si trattava piuttosto di una crescente eccitazione. Era stato comperato due volte. Prima con il denaro e poi con l'invito a giocarselo. Erano anni, ormai, che non riceveva proposte di quel tipo. Soldi in abbondanza e tanto tempo a disposizione. Sarebbe giunto il giorno in cui avrebbe odiato Papà per aver risvegliato in lui il virus: ma prima di allora avrebbe potuto vincere una fortuna, per poi perderla e vincerla di nuovo. Stava di fronte al vecchio, e già si sentiva avvincere dalla febbre.
« Sei un bravo ragazzo, Strauss. » Le parole di Whitehead salivano dalla sedia nell'oscurità come le parole di un profeta da una roccia. Marty non riusciva a scorgere il viso del grande capo, ma non aveva importanza: sapeva che gli stava sorridendo.
42
Nonostante tutti gli anni trascorsi sull'isola del sole, Carys conservava un certo senso della realtà. Almeno, fino a quando la portarono in quella casa fredda e spoglia in Caliban Street. In quel posto, niente sembrava essere sicuro. Era tutta opera di Mamoulian. Probabilmente, questa era l'unica cosa certa. Le case non sono stregate, ma possono esserlo le menti umane. In quella casa, tutto ciò che si muoveva nell'aria, tutto ciò che volteggiava tra le tavole spoglie e coperte di polvere, persino gli scarafaggi, e tutto ciò che scintillava come luce riflessa dall'acqua, era tutto opera di Mamoulian.
Nei tre giorni successivi al suo arrivo in quella casa, si era rifiutata di parlare con chi l'aveva invitata o catturata, chiunque egli fosse. Non sapeva perché mai fosse finita in quel posto, ma sapeva che era stato lui a costringerla con qualche sporco imbroglio - sentiva ancora il suo respiro sul collo - e lei si era risentita per quelle manipolazioni. Breer, il grassone, le aveva portato del cibo e, il secondo giorno, anche un po' di droga, ma lei non aveva voglia di mangiare e tanto meno di parlare. La stanza, nella quale era stata rinchiusa, era abbastanza comoda. C'erano dei libri e anche il televisore, ma l'atmosfera che vi regnava la faceva sentire a disagio. Non riusciva a leggere e nemmeno a guardare le sciocchezze che trasmettevano in televisione. A volte le riusciva difficile persino ricordarsi come si chiamava: era come se la costante vicinanza dell'uomo la stesse svuotando completamente. Forse era davvero in grado di farlo. Dopotutto, era riuscito a entrare nella sua mente, no? Di nascosto, si era fatto strada dentro di lei, dentro la sua psiche e Dio sa solo quante volte. Era entrato in lei, dentro di lei, Dio santo, e lei non se n'era mai accorta.
« Non aver paura. »
Erano le tre del mattino del quarto giorno; un'altra notte insonne. Era stato così silenzioso nell'entrare nella sua stanza, che dovette abbassare lo sguardo per assicurarsi che i suoi piedi stessero toccando veramente il pavimento.
« Odio questo posto », gli disse.
« Preferiresti andartene in giro, invece di startene chiusa qua dentro? »
« È stregato », affermò, aspettandosi una risata. Ma lui non rise. Per cui proseguì: « Sei tu il fantasma? »
« Ciò che sono io è un mistero anche per me », rispose. Aveva una voce addolcita dall'introspezione. « Ma non sono un fantasma. Di questo puoi star certa. Non aver paura di me, Carys. A modo mio, condivido tutto ciò che provi. »
Si ricordava benissimo il disgusto che quell'uomo aveva provato durante l'atto sessuale. Che strana persona pallida e malaticcia era, nonostante tutti i suoi poteri. Non riusciva a odiarlo, per quanto avesse tutte le ragioni per farlo.
« Non mi piace essere usata », disse.
« Non ti ho fatto del male. E nemmeno adesso ti sto facendo del male, non è vero? »
« Voglio vedere Marty. »
Mamoulian si strinse la mano mutilata: « Temo che non sarà possibile », disse. Le ferite della mano erano perfettamente guarite anche se i danni anatomici erano irreparabili.
« Perché no? Perché non vuoi che lo veda? »
« Avrai tutto ciò di cui hai bisogno. Tanto cibo e tanta eroina. »
Improvvisamente, le balenò un pensiero per la testa: forse Marty era sulla lista di morte dell'Europeo. Forse era già morto.
« Ti prego, non fargli del male », disse.
« I ladri vanno e vengono », rispose, « non sono responsabili di quello che succede. »
« Non te lo perdonerei mai », asserì lei.
« Certo, che lo farai », rispose, con una voce tanto dolce da sembrare irreale. « Ora, sono il tuo angelo custode, Carys. Se me lo avessero permesso, mi sarei occupato di te fin da quando eri piccola e ti avrei risparmiato tutte le umiliazioni che ti hanno fatto soffrire. Ma è troppo tardi. Ormai posso solo proteggerti da una corruzione ancora peggiore. »
Cercò di stringere la mano in pugno. Si vedeva che la mano ferita lo disgustava. Se avesse potuto, se la sarebbe tagliata, pensò Carys; non è il sesso che lo disgusta, è la carne.
« Basta », decretò, riferendosi alla mano o alla conversazione o forse a niente in particolare.
Quando la lasciò per permetterle di dormire non chiuse la porta.
Il giorno dopo, Carys iniziò a ispezionare la casa. Non c'era niente di particolarmente interessante: era semplicemente una grande casa vuota di tre piani. Nella strada, oltre le finestre, passavano persone assolutamente comuni, troppo prese dai propri pensieri per guardarsi attorno. Anche se il primo istinto era stato quello di bussare sui vetri cercando di richiamare l'attenzione su di sé, la ragione riuscì ad avere il sopravvento. Da che cosa sarebbe fuggita? In un certo senso lì era al sicuro e aveva anche la droga. Sebbene all'inizio avesse cercato di resistere, l'attrazione era troppo forte per buttarla nel cesso e tirare la corda. E dopo qualche giorno di pillole, aveva provato anche l'eroina. Gliene avevano data una dose giusta. Ed era roba di qualità.
C'era solo Breer, il grassone, che l'infastidiva. Ogni tanto arrivava e si fermava a guardarla con i suoi occhi sdolcinati che assomigliavano tanto a delle uova affogate. Lo aveva detto a Mamoulian e il giorno dopo non si era fermato; aveva lasciato le pillole e se n'era andato. I giorni passavano uno dopo l'altro. A volte non si ricordava neppure dove fosse, o come fosse finita in quel posto, a volte si ricordava come si chiamava, altre no. Una volta, o forse due, si sforzò di pensare a modo suo a Marty, ma era troppo distante. Forse era per questo, o forse quella casa avevano annullato i suoi poteri. In ogni caso, i suoi pensieri si perdevano a qualche chilometro da Caliban Street, dove viveva impaurita e coperta di sudore.
Era ormai in quella casa da una settimana, quando le cose volsero al peggio.
« Vorrei che tu facessi qualche cosa per me », disse l'Europeo.
« Che cosa? »
« Vorrei che trovassi il signor Toy. Ti ricordi del signor Toy? »
Certo che se lo ricordava. Non benissimo, ma se lo ricordava. Il naso rotto, gli occhi tanto tristi che la guardavano malinconici,
« Saresti in grado di scoprire dove si trova? »
« Non so come fare. »
« Lascia che la tua mente vada a lui. Sai come fare, Carys. »
« Perché non lo fai tu? »
« Perché da me se lo aspetta. Cercherà di difendersi e in questo momento sono troppo stanco per combattere con lui. »
« Ha paura di te? »
« Forse sì. »
« Perché? »
« Eri ancora in fasce l'ultima volta che io e il signor Toy ci siamo visti. Ci siamo lasciati da nemici e lui crede che la situazione non sia più cambiata. »
« Tu gli farai del male », affermò.
« Questi sono affari miei, Carys. »
Lei si alzò, scivolando lungo la parete, contro la quale si era accasciata.
« Penso di non avere molta voglia di trovarlo. »
« Non siamo amici? »
« No », rispose. « No. Mai. »
« Vieni. »
Fece un passo verso di lei. La toccò con la mano rotta; il contatto fu leggero come una piuma.
« Credo che tu sia un fantasma », disse Carys.
Lo lasciò nel corridoio e se ne andò in bagno a ripensare a tutta la faccenda, chiudendosi la porta alle spalle. Sapeva, senza ombra di dubbio, che avrebbe fatto del male a Toy, se l'avesse condotto da lui.
« Carys », chiamò la sua voce calma. Era fuori della porta del bagno. La sua vicinanza le fece tremare il cervello.
« Non puoi costringermi », disse.
« Non mi tentare. »
Improvvisamente, il viso dell'Europeo apparve alla sua mente. « Ti ho conosciuta prima ancora che iniziassi a camminare, Carys. Ti ho anche tenuta in braccio molto spesso, mentre ti succhiavi il pollice », stava parlando con le labbra appoggiate alla porta; il tono basso della voce risuonava attraverso il legno.
« Non è colpa di nessuno dei due se ci hanno separati. Credimi, sono felice che tu abbia ereditato un po' delle qualità di tuo padre, visto che lui non ne ha mai fatto uso. Non una sola volta si è reso conto di quanto fosse importante possederle. Ha sperperato tutto: per la gloria, per il denaro, ma tu... Potrei insegnarti, Carys. Tutto. »
La voce era così suadente che pareva raggiungerla attraverso la porta, abbracciandola come aveva fatto tanti anni prima. In quella stretta si sentiva nuovamente piccola.
« Trovami Toy. È forse chiederti troppo con tutti i favori che ti ho fatto? »
Si sentiva cullata dal ritmo delle sue parole.
« Toy non ti ha mai amata », insisté. « Nessuno ti ha mai amata. »
Questo non era vero: un errore tattico, il suo. Le parole furono come una doccia di acqua gelata e la strapparono dal suo stato di languore. Qualcuno l'amava! Marty l'amava. Il corridore, il tuo corridore.
Mamoulian si rese conto dell'errore commesso.
« Non cercare di sfidarmi », disse e il tono gentile se n'era andato.
« Vai al diavolo », gli rispose.
« Come vuoi... »
Aveva avuto uno strano tono, come se avesse dichiarato definitivamente chiusa la questione. Comunque, non si allontanò. Lo sentiva molto vicino. Stava forse aspettando che si stancasse e uscisse? si domandò. Non era certo nel suo stile cercare di convincerla con la forza, a meno che non volesse servirsi di Breer. Si fece forza contro quella possibilità: gli avrebbe cavato gli occhi sdolcinati.
I minuti passavano; era certa che l'Europeo fosse ancora fuori della porta anche se non lo sentiva né muoversi, né respirare.
Poi i tubi dell'acqua iniziarono a gorgogliare. Da qualche parte di stava levando una marea. Dal lavandino uscì un rumore sotterraneo, iniziò a fuoriuscire acqua dalla tazza del water, l'asse si aprì con violenza e si richiuse immediatamente, mentre una folata d'aria fetida ne usciva. Era senz'altro opera sua, sebbene il tutto sembrasse privo di scopo. Un'altra folata schifosa; la puzza iniziava a dare fastidio.
« Che cosa sta succedendo? » domandò, trattenendo il respiro.
Una massa vischiosa e puzzolente aveva iniziato a filtrare attraverso l'asse del water e si stava riversando sul pavimento. Vi si muoveva qualche cosa di simile a vermi. Chiuse gli occhi. Era solo un trucco dell'Europeo per farla cedere; lo avrebbe ignorato. Ma anche con gli occhi chiusi, l'illusione persisteva. L'acqua scrosciò ancora più violentemente, mentre la marea cresceva; poi sentì qualcosa di umido e pesante cadere sul pavimento del bagno.
« Allora? » disse Mamoulian.
Maledì quelle visioni e il loro creatore con un singhiozzo di odio.
Qualcosa le sfiorò il piede scalzo. Che fosse dannata per sempre se avesse aperto gli occhi o gli avesse concesso qualche altro metodo per attaccarla. Ma la curiosità glieli fece spalancare.
Il flusso dal water si era fatto ormai continuo, come se le fogne stessero rifiutando in blocco tutti gli scarichi scaricandoli sui suoi piedi. Non si trattava soltanto di escrementi misti ad acqua: quel miscuglio di sporcizia calda aveva generato dei mostri. Erano creature non annoverate nella comune zoologia: qualcosa era stato pesce, poi mollusco; feti gettati nei gabinetti delle cliniche prima che le madri potessero svegliarsi e gridare; bestie che si cibavano di escrementi. In quella melma c'era di tutto: cose abbandonate, rifiuti e porcherie che si alzavano su putride zampe e correvano incespicando verso di lei.
« Falli andare via », disse.
L'ondata schiumosa avanzava: la fauna che il water vomitava aumentava a dismisura.
« Trova Toy », le disse la voce dall'altra parte della porta.
Con le mani coperte di sudore afferrò la maniglia, ma la porta non voleva aprirsi. Nemmeno un attimo di tregua.
« Fammi uscire. »
« Dimmi solo di sì. »
Si appiattì contro la porta. L'asse del water si aprì di nuovo, lasciando uscire una folata ancora peggiore, poi restò aperto. L'ondata si era fatta più consistente e le tubazioni scricchiolavano come se qualche cosa di troppo grosso per loro avesse iniziato a spingere per passare ed uscire alla luce del giorno. Sentiva gli artigli rovistare lungo le pareti delle tubazioni e le battevano i denti.
« Dimmi di sì. »
« No. »
Un braccio luccicante saltò fuori dalla tazza che continuava ad eruttare e si agitò nell'aria fin quando le dita afferrarono il lavandino. Poi iniziò a tirarsi su, a tirare su quelle ossa marce e viscide.
« Ti prego », urlò.
« Di' solo di sì. »
« Sì! sì! Tutto quello che vuoi! Sì! »
Mentre pronunciava quelle parole, la maniglia della porta si mosse. Girò le spalle a quell'orrore crescente e si appoggiò alla maniglia con tutto il suo peso, cercando a tastoni la chiave con l'altra mano. Dietro di lei, udì il rumore di un corpo che si contorceva per liberarsi. Girò la chiave dalla parte opposta, poi riuscì a trovare il senso esatto. Il letame ormai le sfiorava i piedi, ben presto avrebbe raggiunto i talloni. La porta non si apriva e mani gonfie d'acqua cercavano di afferrarle la caviglia, ma riuscì a gettarsi fuori del bagno prima di farsi afferrare: finì sul pianerottolo e sbatté la porta dietro di sé. Vinta la sua battaglia, Mamoulian se n'era andato. Dopo quanto era successo, non sarebbe più tornata in bagno. Dietro sua richiesta, il Mangialamette le portò un secchio che, poi, riportava via dopo l'uso con riverenza.
L'Europeo non parlò più dell'incidente. Non ce n'era bisogno. Quella notte fece ciò che lui le aveva chiesto. Aprì la mente e si mise a cercare Toy: poco dopo l'aveva già trovato. E subito dopo lo trovò anche l'Europeo.
43
Era dai tempi felici delle ingenti vincite al casinò che Marty non possedeva tanto denaro. Duemila sterline non erano certo una grande somma per Whitehead, ma avevano mandato Marty al settimo cielo. Forse la storia che il vecchio gli aveva raccontato su Carys era una menzogna. Se davvero era così, lo avrebbe convinto con le buone, piano piano, a dirgli la verità. Chi va piano, va sano e va lontano, gli aveva sempre detto Feaver. Che cosa avrebbe detto Feaver se avesse potuto vedere Marty con tutti quei soldi a sua disposizione?
Lasciò la macchina vicino a Euston e prese un taxi fino allo Strand, dove incassò l'assegno. Poi si mise alla ricerca di un bell'abito da sera. Whitehead gli aveva consigliato un negozio di abbigliamento in Regent Street. All'inizio i commessi lo trattarono in modo scortese, ma non appena fece vedere loro il colore dei soldi, il tono cambiò completamente, facendosi estremamente servile. Cercando di trattenere una risata, Marty giocò al cliente incontentabile; i commessi lo adulavano e gli si affaccendavano attorno e lui li lasciò fare. Finalmente, dopo tre quarti d'ora di attenzioni, scorse qualcosa di suo gusto: un completo classico, ma di stile. Il vestito e tutti gli accessori - scarpe, camicie e un'ampia gamma di cravatte - intaccarono il suo patrimonio più di quanto non si fosse aspettato, ma non ci fece troppo caso e lasciò scorrere il denaro fra le dita come se fosse acqua. Portò via il vestito e una parte degli accessori e fece poi spedire il resto al santuario.
Quando uscì dal negozio era già ora di pranzo, e si mise a cercare un posto dove poter mangiare qualche cosa. C'era un ristorante cinese in Gerard Street che Charmaine e lui erano soliti frequentare ogni qualvolta le finanze lo permettevano: sarebbe andato lì. Anche se la facciata era stata modernizzata per far posto a un'insegna al neon, l'interno si era mantenuto più o meno uguale; il cibo era buono, esattamente come se lo ricordava. Si sedette a un tavolo isolato, mangiò e bevve a suo piacimento, scegliendo sul menù i piatti più gustosi: era felice di poter giocare fino in fondo a fare il ricco. Terminato il pranzo ordinò mezza dozzina di sigari, bevve parecchi brandy e lasciò una mancia da nababbo. Papà sarebbe orgoglioso di me, pensò. Una volta sazio, ubriaco e soddisfatto si alzò e uscì al calore pomeridiano. Era ora di seguire le altre istruzioni di Whitehead.
Si incamminò verso Soho, vagabondando qualche minuto prima di trovare un botteghino per le scommesse. Entrando nel locale pieno di fumo, lo assalì un senso di colpa, ma, immediatamente, mandò al diavolo la sua coscienza rompiballe. Non faceva che obbedire a degli ordini.
C'erano corse a Newmarket, Kempton Park e a Doncaster - per ognuno di questi nomi c'era un'associazione di ricordi dolci-amari - e lui iniziò a scommettere liberamente sul tabellone. Ben presto il vecchio entusiasmo cancellò ogni senso di colpa. Quel gioco assomigliava tanto alla vita, ma aveva un sapore più forte. Fin da bambino si era sempre immaginato la vita degli adulti come la speranza di vincere immancabilmente disillusa da qualche perdita. Una volta usciti dalla noia ed entrati nel mondo segreto, barbuto e mutevole degli adulti, ogni singola parola veniva caricata di rischi e di promesse, ogni respiro nascondeva straordinari interrogativi.
All'inizio il denaro scomparve velocemente dalle sue tasche; puntava grosse somme, e la frequenza con cui perdeva ridusse ben presto le sue riserve. Poi, tre quarti d'ora più tardi, la fortuna iniziò a girare diversamente: alcuni cavalli che aveva scelto per puro caso, vinsero facilmente con quotazioni ridicole, uno dopo l'altro. In una sola corsa riuscì a recuperare quello che aveva perso nelle precedenti e gli avanzò anche qualche cosa. L'entusiasmo si trasformò in euforia. Era quella la sensazione che aveva cercato di descrivere a Whitehead: avere la fortuna sotto controllo.
Alla fine, incominciò ad annoiarsi delle vincite. Si mise in tasca i soldi vinti e se ne andò, senza nemmeno contare quanti fossero. Comunque, aveva in tasca un bel malloppo che doveva assolutamente essere speso. Istintivamente, si mise a gironzolare mescolandosi tra la folla di Oxford Street, poi scelse un negozio dall'aria costosa e comprò una pelliccia del valore di novecento sterline per Charmaine e prese un taxi per andare a portargliela. Fu un viaggio piuttosto lento; gli impiegati avevano iniziato la fuga dai posti di lavoro e le strade erano intasate. Ma era troppo euforico per arrabbiarsi.
Si fece lasciare all'angolo della strada perché voleva percorrerla tutta a piedi. Dall'ultima volta che ci era stato, due mesi e mezzo prima, le cose erano decisamente cambiate. L'inizio della primavera si era trasformato nell'inizio dell'estate. Erano quasi le sei di pomeriggio, ma la calura del giorno non se n'era ancora andata: e probabilmente, avrebbe persistito ancora un po'. O forse, pensò, non si trattava soltanto della stagione; anche lui era cambiato.
Sentiva di essere più vivo. Santo cielo, era proprio così. Finalmente, era di nuovo in grado di muoversi all'interno del mondo, di viverci, di modificarlo.
Charmaine aprì la porta con un certo nervosismo, che crebbe maggiormente quando Marty entrò in casa, la baciò e le mise in mano la scatola della pelliccia.
« Ecco qua. Ti ho comperato un regalo. »
Lei aggrottò le sopracciglia. « Che cos'è, Marty? »
« Dacci un'occhiata. È per te. »
« No », rispose. « Non posso. »
La porta d'ingresso era ancora aperta. Lo stava accompagnando verso l'uscita, o almeno, ci provava. Ma lui non sembrava volersene andare. L'espressione di lei era qualcosa di più che semplicemente imbarazzata: paura, forse addirittura panico. Gli restituì la scatola, senza nemmeno aprirla.
« Vai via, ti prego », insisté.
« È una sorpresa », le ripeté, deciso a non farsi mandar via.
« Non voglio nessuna sorpresa. Vattene. Chiamami domani. »
Non volle riprendersi la scatola che gli aveva offerto e la fece cadere per terra, causandone l'apertura. La sontuosa giacca di pelliccia luccicava sul pavimento. Lei non poté fare a meno di chinarsi a raccoglierla.
« Oh, Marty... » mormorò.
Mentre ne ammirava il pelo lucente, apparve qualcuno sulla cima delle scale.
« Che cosa succede? »
Marty alzò lo sguardo. In cima alle scale c'era Flynn, con addosso solo le mutande e le calze. Non si era ancora fatto la barba. Restò in silenzio per qualche minuto, valutando le diverse possibilità. Poi scoppiò a ridere - la sua panacea.
« Marty! » esclamò. « Che cosa mi racconti? »
Marty guardò Charmaine che teneva gli occhi bassi. Aveva in mano la pelliccia e la teneva, quasi fosse la carogna di un animale.
« Capisco », disse Marty.
Flynn scese qualche gradino. Aveva gli occhi iniettati di sangue.
« Non è come pensi tu. Davvero. Non è così », disse, fermandosi a metà in attesa di vedere quale sarebbe stata la prossima mossa di Marty.
« È esattamente come pensi tu, Marty », si intromise Charmaine con calma. « Mi spiace che tu l'abbia scoperto in questo modo, ma hai l'abitudine di non chiamare mai. Ti avevo detto di telefonare prima di passare di qua. »
« Da quanto tempo », bisbigliò Marty.
« Due anni, più o meno. »
Marty lanciò un'occhiata a Flynn. Avevano scherzato con quella negra, loro due insieme - Ursula, si chiamava così? - solo qualche settimana prima e, dopo essersi divertito, Flynn se n'era andato. Era tornato lì, da Charmaine. Marty si domandò se si fosse lavato prima di infilarsi nel letto al suo fianco. Probabilmente no.